Il mal di schiena passa... nell’acqua
Dübendorf – Ricercatori dell’istituto federale Eawag hanno messo in evidenza un fenomeno di potenziamento dell’effetto tossico di residui di un medicinale, già di per sé velenosi per i pesci, da parte di un comune crostaceo. I rischi tossicologici delle sostanze liberate nella natura richiedono valutazioni più approfondite, sostengono gli studiosi zurighesi.
Nella fattispecie Qiuguo Fu e colleghi si sono occupati della degradazione della sostanza attiva Diclofenac, contenuta in farmaci antinfiammatori molto diffusi. Il corpo umano espelle la sostanza praticamente intatta e questa, che passa inalterata gli attuali impianti di depurazione delle acque, si ritrova in fiumi e laghi e vi si accumula.
Analogamente a quanto avviene per il Diclofenac, “giorno dopo giorno, tonnellate di sostanze attive di medicinali vengono scaricate negli ambienti acquatici del pianeta”, ha messo del resto in guardia in una nota l’Istituto federale per l’approvvigionamento, la depurazione e la protezione delle acque (Eawag).
Ricerche precedenti hanno già rivelato la tossicità del Diclofenac per fegato, reni e branchie dei pesci. L’équipe di ricerca guidata da Juliane Hollender, responsabile del dipartimento di chimica ambientale dell’Eawag, ha ora dimostrato che un prodotto di trasformazione della sostanza attiva è ancora più tossico della sostanza madre. I risultati dello studio sono appena stati pubblicati sulla rivista Environmental Science & Technology.
I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni lavorando con due specie comuni di gammari, dei crostacei. Li hanno esposti per 24 ore in laboratorio a diverse concentrazioni di Diclofenac – in realtà, molto più alte di quelle che si trovano nell’ambiente. I chimici hanno poi studiato il divenire della sostanza nei corpi dei crostacei scoprendo che il Diclofenac è stato convertito, grazie a un enzima (un catalizzatore di processi biochimici) di cui i gammari sono dotati, in un metabolita ancora più tossico.
Il metabolita è poco solubile in acqua e quindi non viene facilmente eliminato dai gammari e si accumula nel loro corpo, passando poi ad altri organismi lungo la catena alimentare. È il fenomeno di accumulazione che preoccupa in particolare, dice Hollender, citata nel comunicato.