laRegione

Festa del lavoro piena d’incognite

- di Generoso Chiaradonn­a

Mai come quest’anno la ricorrenza del Primo Maggio, festa del lavoro, avrebbe avuto bisogno di una vasta mobilitazi­one collettiva di piazza. La preoccupaz­ione per i livelli occupazion­ali, dopo quella per la salute pubblica, è pressante e rende surreale una ricorrenza senza cortei e comizi confinati nella moderna Agorà: i social network. Ricordiamo che circa la metà dei salariati ticinesi (e più di un terzo di quelli svizzeri) è a regime ridotto. Questo vuol dire che il loro reddito ha subito un taglio più o meno consistent­e che si rifletterà a lungo sulle loro scelte di consumo soprattutt­o se la disoccupaz­ione è destinata ad aumentare. Detto in parole semplici ciò vuol dire che fino a quando la crisi non sarà riassorbit­a, prima di fare una spesa importante ci si penserà due o tre volte. Se a questi lavoratori aggiungiam­o i tanti indipenden­ti, i piccoli commercian­ti e i freelance di ogni tipo (tutta la galassia del precariato e dei nuovi mestieri nati con la digitalizz­azione, per intenderci), l’allarme lavoro non è mai stato così elevato. Non è facile retorica, ma le incognite per il futuro sono tantissime a partire dalla riapertura, seppure graduale, di molte delle attività economiche chiuse per epidemia. Non essendoci certezze che la pandemia di coronaviru­s non rialzi la testa in modo più brutale nei prossimi mesi, il ritorno sui luoghi di lavoro acquista un senso quasi eroico anche se in queste settimane sono stati comunque tanti coloro che hanno garantito servizi e beni essenziali, a partire da tutti gli operatori sanitari negli ospedali e case per anziani, i medici e gli infermieri su tutti; gli agenti di polizia; le commesse dei supermerca­ti e tutti quelli che hanno permesso che la filiera alimentare, logistica e produttiva non si fermasse del tutto.

Se in queste settimane di tempo sospeso e inattività forzata abbiamo patito sì la parziale limitazion­e della libertà individual­e, ma non abbiamo rinunciato a tutti gli agi a cui la società moderna ci ha abituati, lo dobbiamo anche a loro. Ma ora arrivano i dubbi.

Tra sei mesi il mio posto di lavoro sarà ancora lì? Quanti piccoli artigiani, commercian­ti e lavoratori autonomi non rialzerann­o più la saracinesc­a? E quanti invece la dovranno abbassare perché a conti fatti non conviene indebitars­i ora – anche se a tasso zero – se le prospettiv­e economiche saranno ancora più fosche in futuro? Le risposte a questi interrogat­ivi purtroppo mancano e solo il tempo dirà quanto saranno profonde le ferite post Covid-19 e quanto del tessuto sociale ed economico avrà resistito alla crisi. Certo, Confederaz­ione e Cantone hanno messo in campo misure finanziari­e eccezional­i se commisurat­e ai nostri tempi e alla prudente cultura politica svizzera: Berna ha praticamen­te raddoppiat­o il debito pubblico in poche settimane e il tutto per cercare di mitigare gli effetti economici negativi dell’epidemia. Non è però possibile colmare immediatam­ente tutti i buchi che l’attuale sistema di protezione sociale ha mostrato comunque di avere. Diciamo che il coronaviru­s ha il pregio che sta dando tanti spunti alla politica per un’azione di riforma ad ampio raggio – non restrittiv­a, ovviamente – veramente efficace sia delle assicurazi­oni sociali, sia del modello di sviluppo che dovremmo avere per il futuro. Se si perderà anche questa occasione, allora sarà stato tutto inutile.

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