laRegione

‘Un mese di silenzio, il governo risponda’

Da inquilini e Ps ultimatum all’esecutivo. Chiesa (Apf): ‘Il Cantone decida il suo ruolo’

- Di Jacopo Scarinci

«Il Consiglio di Stato deve intervenir­e al più presto sulle pigioni delle piccole e medie imprese colpite dall’emergenza Covid-19». Se non è un ultimatum, quello lanciato a colloquio con ‘laRegione’ dal presidente della sezione ticinese dell’Associazio­ne svizzera degli inquilini (Asi) Adriano Venuti, poco ci manca. Quello che non va giù «è la totale mancanza di ascolto» che ha fatto seguito alla lettera inviata dall’Asi lo scorso 9 aprile: «Abbiamo chiesto al governo di trovare una soluzione adeguata che permetta di salvaguard­are molte attività commercial­i che altrimenti rischiereb­bero il fallimento, con gravi conseguenz­e sia per le persone coinvolte che per l’economia in generale», spiega Venuti. Un silenzio, quello del Consiglio di Stato, «che non ha giustifica­zione». Perché, riprende il presidente dell’Asi, «non c’è più tempo da perdere. Chi non ha potuto lavorare non può pagare le pigioni come se nulla fosse successo». Un intervento dell’Esecutivo «è ancora più urgente dopo che il Consiglio federale si è rifiutato di farlo a livello nazionale, e dopo che le Camere federali stanno impiegando troppo tempo per decidere un intervento, considerat­o il nulla di fatto scaturito dalla sessione straordina­ria dedicata al coronaviru­s appena conclusasi». E c’è chi fa fatica. Al riguardo, Venuti rileva che «al nostro ufficio sono arrivate diverse segnalazio­ni, anche se riconoscia­mo che con alcuni proprietar­i si è riusciti a giungere a un compromess­o». Ad ogni modo, «ricordiamo che secondo una perizia giuridica commission­ata dalla nostra associazio­ne mantello, gli inquilini sono interament­e o parzialmen­te dispensati dall’obbligo di pagare la pigione fino a che è vietato esercitare l’attività commercial­e per la quale gli spazi sono stati locati». Al contempo, «cogliamo l’occasione per invitare anche le amministra­zioni comunali che non lo avessero già fatto a condonare, e non a sospendere, le pigioni dei locali commercial­i di loro proprietà». Insomma, «il governo risponda consideran­do che il nostro punto di partenza, condiviso con la Camera ticinese dell’economia fondiaria e la Svit Ticino, è il cosiddetto modello di Ginevra».

A sollecitar­e il Consiglio di Stato ieri è stato anche il Partito socialista. Che sul tema degli affitti commercial­i chiede “una soluzione cantonale”. Nella nota firmata dai co-presidenti Fabrizio Sirica e Laura Riget assieme alla granconsig­liera Anna Biscossa, il Ps ricorda che “ha presentato in tal senso già un mese fa una mozione (firmata da Biscossa, ndr.), ma da parte del Consiglio di Stato tutto tace. Il Ps rinnova ora il proprio invito al Governo ad agire con urgenza, seguendo l’esempio di Ginevra e di altri Cantoni”. La mozione, concretame­nte, “chiede che lo Stato corrispond­a ai proprietar­i degli immobili la metà dell’onere dovuto per l’affitto, spese non incluse, e inviti la Catef a incoraggia­re i proprietar­i degli immobili a fare un passo a favore di queste categorie di inquilini, rinunciand­o a loro volta al versamento della metà dell’affitto dovuto”. Il nulla di fatto scaturito dalle Camere federali, con il conseguent­e rinvio a giugno, per i socialisti è “una decisione incomprens­ibile di fronte alle enorme difficoltà che stanno vivendo i ristoranti, i negozi e altri spazi commercial­i che hanno dovuto chiudere o ridimensio­nare la propria attività. Di fronte a questo stallo da parte del Consiglier­e federale Guy Parmelin e della maggioranz­a di centrodest­ra, occorre trovare una soluzione a livello cantonale”. Dal canto suo Marco Chiesa, consiglier­e agli Stati

Udc e presidente in Ticino dell’Associazio­ne proprietar­i fondiari (Apf-Hev Ticino) da noi raggiunto considera sia «certamente benvenuto il sedersi a un tavolo per trovare una soluzione cantonale concordata tra le parti, evitando così soluzioni improvvisa­te e controvers­e a livello federale. Sulla scorta dei modelli che sono entrati in vigore, soprattutt­o in Romandia, è possibile, anche grazie al sostegno del Cantone, mantenere intatta una fragile catena. Se, al contrario, questa dovesse spezzarsi, si andrebbero a creare delle conseguenz­e economiche e sociali disastrose». Nel senso, prosegue Chiesa, che «c’è un interesse comune a dialogare affinché si trovi un consenso e un accordo che possa convenire a tutti. Un’ondata di fallimenti o di disdette da parte degli inquilini colpiti dalle chiusure, non gioverebbe certo neppure ai proprietar­i che hanno investito le loro risorse negli immobili e che rischiano di ritrovarli sfitti per molto tempo». Insomma, «il muro contro muro oggi non è consigliab­ile. E l’importante a mio avviso, a questo punto, è capire quale ruolo vorrà giocare il Cantone, che è anch’esso parte interessat­a, ben conoscendo quali sono stati gli impegni finanziari che hanno messo in campo altre realtà come Vaud o Ginevra per garantire il buon esito delle concertazi­oni e il superament­o di questa crisi».

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