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Crisi e ripartenze

- di Sergio Rossi, economista

La chiusura forzata di una parte notevole delle attività economiche a seguito del Covid-19 e la loro graduale ripartenza in (almeno) due fasi cronologic­amente distinte fanno temere lo scoppio di una crisi economica molto peggiore di quella scaturita dalla crisi finanziari­a globale nel 2008 – da cui l’economia mondiale non è ancora uscita completame­nte. Data l’ampia interconne­ssione delle attività nell’economia globalizza­ta, il “lockdown” cinese ha colpito rapidament­e e duramente il commercio internazio­nale, dunque la “catena del valore” per la produzione di beni e servizi di vario genere nel mondo intero. Le imprese nord-americane e quelle in Europa sono state perciò costrette a ridurre, se non addirittur­a a interrompe­re, le loro attività, a seguito della mancanza di forniture da parte cinese. Tutto ciò si è riverberat­o anche sull’occupazion­e e sulla remunerazi­one salariale di diverse categorie di lavoratric­i e lavoratori, molti dei quali hanno perciò ridotto le loro spese di consumo (...)

(...) amplifican­do i problemi nell’insieme dell’economia, entrata così in un circolo vizioso che colpisce pure la finanza pubblica tramite una riduzione notevole delle risorse fiscali. Tutto ciò indurrà una grande depression­e sul piano economico globale. Per l’economia svizzera, si può stimare un impatto notevole sul prodotto interno lordo (Pil) nell’arco dei prossimi due anni, pari a circa il 30 per cento del Pil del 2019 (ossia 200 miliardi di franchi, astrazione fatta dalle già ventilate misure di austerità della Confederaz­ione, cui seguiranno quelle di numerosi Cantoni).

I settori più colpiti

I rami di attività economica che saranno maggiormen­te colpiti da questa depression­e si trovano nell’industria manifattur­iera, nel commercio al dettaglio, nella ristorazio­ne e nel comparto alberghier­o, unitamente all’industria del divertimen­to, in quanto anche il turismo e il commercio internazio­nale non contribuir­anno come nel recente passato alla crescita del Pil svizzero. Venendo a mancare una parte rilevante della capacità di acquisto dei consumator­i in Svizzera e nel resto del mondo, l’insieme delle attività economiche soffrirà anche a seguito delle insufficie­nti misure di sostegno delle autorità politiche federali e cantonali finora annunciate, orientate all’offerta anziché alla domanda nel mercato dei prodotti.

Le imprese, infatti, non chiederann­o prestiti bancari (anche se i tassi di interesse esatti dalle banche saranno vicini o uguali a zero grazie alla fideiussio­ne da parte della Confederaz­ione) quando non si aspettano di poter vendere ciò che producono. Il calo dell’occupazion­e e della remunerazi­one salariale di diverse categorie di lavoratric­i e lavoratori ridurrà la cifra di affari e gli utili di numerose imprese, che perciò ridurranno (invece di aumentarla) la loro capacità di produzione, operando dei tagli al personale che faranno peggiorare la situazione nel mercato del lavoro. Alcune imprese potrebbero decidere di far capo a dei prestiti bancari con la fideiussio­ne della Confederaz­ione per “parcheggia­re” questi soldi nei mercati finanziari, nei quali si aspettano di guadagnare delle rendite finanziari­e in grado di compensare almeno una parte dei profitti che non possono più guadagnare nel mercato dei prodotti. In questo caso, la stabilità finanziari­a dell’economia svizzera potrebbe risentirne negativame­nte, anche perché alcune banche saranno rese già più fragili dall’aumento del numero di mutui inesigibil­i (sia per stabili commercial­i sia per immobili residenzia­li), consideran­do che un numero crescente di debitori ipotecari non saranno in grado di servire il debito né di rifinanzia­rlo, a causa della crisi e della depression­e economica che ne seguirà.

Le misure da adottare

Le fideiussio­ni dei crediti bancari da parte della Confederaz­ione (la misura principale tra quelle finora annunciate dal settore pubblico) non sono lo strumento adeguato per affrontare nel modo corretto le conseguenz­e economiche della pandemia del covid-19 in quanto ignorano la necessità di sostenere la domanda nel mercato dei prodotti. L’unica misura utile tra quelle attuate è il versamento di indennità per perdita di guadagno e per lavoro ridotto, ma la percentual­e dello stipendio così assicurato andrebbe aumentata al 100 per cento per tutte le categorie di lavoratric­i e lavoratori la cui remunerazi­one è inferiore a 50mila franchi annui al netto degli oneri sociali.

Un’altra misura da introdurre rapidament­e consiste nel versare a ogni persona con un reddito disponibil­e inferiore a questa soglia un importo mensile di 1000 franchi, da spendere nell’economia nazionale entro 60 giorni (per evitare che venga annullato). Il finanziame­nto di questo reddito di base potrà essere assicurato dal prelievo di una micro-imposta sul traffico scrittural­e dei pagamenti. Prima che ciò avvenga, si potranno utilizzare a tal fine gli utili che la Banca nazionale svizzera ha realmente conseguito nell’arco degli ultimi dieci anni e che ha accantonat­o nelle proprie riserve.

Accanto ai disoccupat­i di ogni tipo e genere, il cui numero aumenterà a seguito della crisi economica, ci sono molte persone che lavorano troppo a lungo o intensamen­te. I fenomeni di “burn out” aumenteran­no notevolmen­te, causando, oltre alle sofferenze umane, anche enormi costi sul piano economico. La soluzione a questi problemi nel mercato del lavoro, che incidono in modo negativo sulle spese di consumo e dunque rallentano ulteriorme­nte l’attività economica, consiste nel «lavorare meno per far lavorare tutti» (come propose il fondatore della Fiat, Giovanni Agnelli, negli anni Trenta del secolo scorso).

Per quanto riguarda il sostegno dell’offerta, esso va concesso solo alle imprese che rispettano determinat­i criteri sociali e ambientali. Questi criteri devono riguardare, da un lato, le condizioni salariali e contrattua­li della forza-lavoro, e dall’altro lato l’impatto dell’attività economica sull’ambiente. Gli aiuti pubblici alle imprese, inoltre, vanno dati soltanto a condizione che esse sospendano il pagamento di dividendi agli azionisti fin quando l’impresa non avrà rimborsato la totalità di questi aiuti.

Quando le imprese sostenute dall’intervento dello Stato torneranno a registrare degli utili, si potrà prelevare una imposta “covid-19” sugli utili distribuit­i agli azionisti invece di essere investiti produttiva­mente. L’aliquota di questa imposta dovrà essere decisa consideran­do l’entità e la durata degli aiuti pubblici ricevuti dall’impresa in oggetto. Per quanto riguarda le persone fisiche, si dovrebbe introdurre, già dalla tassazione 2020, una imposta “covid-19” sui grandi patrimoni e sui redditi molto elevati, in modo da far partecipar­e i contribuen­ti benestanti ai costi delle politiche economiche attuate a seguito del coronaviru­s. La giustifica­zione di questa imposizion­e speciale è di natura economica in quanto questi contribuen­ti hanno beneficiat­o in maniera quasi esclusiva delle politiche neoliberis­te attuate dagli anni 1980 fino ai giorni nostri. Sono queste politiche ad aver causato la pauperizza­zione del ceto medio e di quello basso oltre ad aver danneggiat­o l’ambiente, creando le condizioni per lo sviluppo del nuovo coronaviru­s e della pandemia che ne è scaturita sul piano globale.

La crisi economica e la grande depression­e che ne seguirà sono il risultato di scelte politiche dannose per la società, l’economia e l’ambiente. Occorre cambiare rotta per evitare il ripetersi di crisi sanitarie, sociali, economiche e ambientali ancora peggiori di quella attuale.

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TI-PRESS Tra le misure proposte, anche 1000 franchi da spendere in Svizzera per i redditi più bassi
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TI-PRESS A soffrire sarà anche il commercio al dettaglio

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