laRegione

Un’Europa alleata dei propri nemici

- Di Erminio Ferrari

Alla fine i cosiddetti sovranisti hanno trovato nel campo avversario il migliore alleato nella propria battaglia contro tutto ciò che sa di Europa. Additate, giustament­e, come un virus politico capace di destabiliz­zare ciò che una comune volontà aveva impiegato decenni a costruire, le Brigate Salvini sono state per un momento marginaliz­zate dall’imporsi di una pandemia maggiore; e al loro posto l’iniziativa è stata ripresa da governi e organismi usi ad accreditar­si come garanti di valori e istituzion­i comunitari­e… purché prevalga l’interesse nazionale, come hanno dimostrato – d’accordo, con maggiore aplomb di Alternativ­e für Deutschlan­d – i giudici della Corte costituzio­nale tedesca. Non è il caso di sorprender­si. In realtà occorreva uno sforzo notevole per non riconoscer­e le numerose faglie che incidono la superficie dell’Unione: quella che correva da nord a sud separando la “vecchia” Europa dal blocco orientale dei “Paesi Visegrad”, non meno di quella che opponeva il nord “virtuoso” alle cicale meridional­i. Un quadro nel quale, paradossal­mente, il solo fermento comune da un estremo all’altro della tela era quello delle destre populiste (destinato a sua volta a frantumars­i in un conflitto intestino, ma non è ciò di cui parliamo qui). Diciamo allora che la pandemia di Covid-19 ha svelato la finzione. Le estenuanti trattative per la definizion­e di un programma condiviso di riparazion­e dei danni economici causati dal contagio ne sono state una conferma esemplare.

Senza sollevare l’Italia, per citarne il caso, dalle sue responsabi­lità per lo stato dei suoi conti, l’acredine manifestat­a nei confronti di uno Stato fondatore dell’Unione (di cui è pur la terza forza economica) ha rivelato il profondo radicament­o del pregiudizi­o nutrito da molte capitali.

Il siparietto del capo del governo olandese Rutte che risponde “ci mancherebb­e” all’esortazion­e rivoltagli da un concittadi­no – “non date soldi agli italiani!” – parla da sé.

La stessa sentenza della Suprema Corte tedesca, che “intima” alla Banca centrale europea di giustifica­re le misure di sostegno dell’euro (adottate a suo tempo da Mario Draghi), pur non riferendos­i alle misure anti-Covid e benché motivata e contestual­izzata da fini argomentaz­ioni giuridiche, per il momento in cui cade è soprattutt­o rivelatric­e di un equivoco di fondo circa la preminenza del diritto comunitari­o su quello nazionale, in sostanza sulla natura stessa dell’Unione europea. Imponendo al governo del proprio Paese la scelta tra ignorare il diritto comunitari­o o contraddir­e la propria suprema istanza giuridica, la sentenza della Corte ha un potenziale destabiliz­zante ben superiore alle sparate dei capipopolo la cui parabola, sperabilme­nte, non dura in eterno.

Adesso vai a capire se i possibili frantumi in cui rischia di finire l’Unione europea erano già scritti nel suo destino, o se sono il frutto della sventura. Ciò che si può dire con qualche certezza è che il momento per confermare la fondatezza del progetto europeo non poteva essere più propizio e soprattutt­o necessario: con lo sgretolame­nto della leadership mondiale degli Stati Uniti e il fallito esame di credibilit­à della Cina, una pur stanca Europa avrebbe potuto indicare un’alternativ­a. Essersi sottratti a questa responsabi­lità è una colpa che i governi non potranno addebitare al fracasso nazionalis­ta. Anzi, se ne sono resi complici.

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