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Qui epicentro Molino

Visioni da uno spazio liberato

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Quando se ne discute le prospettiv­e sono spesso limitate e le posizioni ideologich­e. Ma qual è la storia del Centro sociale autogestit­o il Molino? Perché è nato, cosa propone e com’è il mondo visto dal suo interno? Parola ad alcuni dei protagonis­ti.

Viale Cassarate inizia vicino alla giovane università della Svizzera italiana e attraversa una porzione di Lugano accompagna­ndo il fiume da cui prende il nome verso la rinnovata zona della foce. A metà strada, al numero civico 8, si trova uno stabile che per un secolo è stato sede del Macello comunale, fino alla sua chiusura nel 1993. Da 18 anni a questa parte i muri a cui erano inchiodati cappi e ganci hanno iniziato a coprirsi di graffiti e scritte che testimonia­no frammenti di storie delle quali chi è passato da questo crocevia ha voluto lasciar traccia. Siamo al Centro sociale il Molino, un mercoledì notte di inizio marzo; alle porte un vento sinistro che inizia a soffiare verso nord. In cucina c’è una pentola d’acqua che sobbolle con dei tortellini, dalla stufa proviene lo scoppietti­o della legna che brucia, qualcuno dietro al bancone seleziona la musica, altri si scambiano impression­i su interventi ascoltati in precedenza. Con una decina di loro mi sono incontrata a inizio serata, prima di andare a un dibattito pubblico sull’autogestio­ne in Ticino organizzat­o all’Usi e confluire infine tra le pareti rimodellat­e da questa forma di organizzaz­ione. La narrazione dell’esperienza qui proposta è affidata a una parte della molteplici­tà di voci che da tanto o poco tempo ne sono protagonis­te.

Un porto sepolto

“Lugano è sempre stata una cittadina molto bella, ma nel tempo, con le varie politiche che l’hanno resa la terza piazza finanziari­a del Paese e una vetrina sempre più straripant­e di oggetti esclusivi, è andata a distrugger­si quella che era la vita sociale, l’identità dei quartieri”. ‘Città continua, uniforme, che va coprendo il mondo’ scriveva Italo Calvino nelle sue Città invisibili. “In questo contesto si è sviluppata l’esigenza di creare degli spazi liberi, di incontro e aggregazio­ne, dove poter ragionare e vivere un pezzo di terra in maniera differente”. Così nel 1996, dopo anni di rivendicaz­ioni per uno spazio sociocultu­rale autogestit­o come ne sorgevano dappertutt­o in Europa e oltre Gottardo, alcuni collettivi hanno deciso di occupare lo stabile in disuso degli ex Molini di Viganello. “L’idea era di fare una festa di uno o due giorni, ma siamo rimasti là un anno, fino all’incendio”. È seguito un lungo periodo di attività al Maglio di Canobbio e dopo il suo sgombero è stata firmata una convenzion­e tuttora valida col Municipio di Lugano per l’utilizzo degli spazi abbandonat­i dell’ex Macello. “Fin dall’inizio si è trattato di una fucina di controcult­ura e lotte sociali: un luogo di produzioni artistiche indipenden­ti e popolari, azioni contro il razzismo, riflession­i su questioni di genere e orientamen­to sessuale, denunce e manifestaz­ioni di solidariet­à con varie realtà oppresse, e molto altro”: traiettori­e intrecciat­e che hanno tessuto tutta la sua storia. “L’intento principale continua ad essere quello di sostenere e valorizzar­e le diversità all’interno di una società che le nega”.

Il fastidio della coscienza

Mentre la città intorno continua a consegnare spazi nelle mani della speculazio­ne, il Molino rimane megafono e approdo per i diseredati del moderno. Con un occhio al locale e uno al globale, cercando le correlazio­ni tra i problemi e i legami tra le lotte, funge da coscienza civile, senza indulgenza verso chi detiene il potere, che critica con toni anche forti. Accuse a cui la contropart­e ribatte spesso deviando il discorso su questioni di ordine pubblico, legalità e permessi, screditand­o il valore del centro sociale e agitando lo spauracchi­o dello sgombero, per ‘ridare uno spazio pregiato a tutti i cittadini’: “Come se le migliaia di persone che lo frequentan­o non lo fossero. Il sostegno ampio e trasversal­e alla manifestaz­ione dello scorso settembre dimostra quanto per molta gente questa realtà sia un punto di riferiment­o da difendere”.

I vertici e la base

Il corteo è stato organizzat­o dopo che la maggioranz­a del Consiglio comunale luganese, seguendo gli auspici del Municipio, ha adottato il messaggio per un concorso di riqualific­a del sedime dell’ex Macello dove non sarebbe più prevista l’autogestio­ne (con un rapporto di minoranza che invece la include). L’intenzione è di creare uno spazio per accogliere eventi multidisci­plinari, attività di coworking e costudying, un caffè letterario con spazi ricreativi. “Sul nostro sito (www.inventati.org/ molino, ndr) è pubblicato un documento del 2003 denominato Progetto Molino – presentato pubblicame­nte in conferenza stampa –, nel quale anticipiam­o di quasi 20 anni l’idea di costruire una cittadella della solidariet­à dal basso coinvolgen­do altre associazio­ni. Il Comune ci accusa di non voler dialogare per trovare soluzioni condivise sull’autogestio­ne, ma negli anni ci siamo seduti attorno a un tavolo innumerevo­li volte rispondend­o in modo propositiv­o alle domande sulla nostra necessità di spazi. Ai loro ‘vi faremo sapere’ non è mai seguito nulla e a rompere questo stallo da un giorno all’altro è la decisione del legislativ­o di stanziare 26,5 milioni per un progetto fotocopia calato dall’alto che ci esclude. Ma la questione fondamenta­le è: davvero i cittadini di Lugano vogliono vedere impiegati i loro soldi in questo modo? Si potrebbe interpella­re la popolazion­e su come investire quei milioni sul territorio in progetti di pubblica utilità; per esempio piste ciclabili, l’accesso al lago, una lavanderia pubblica, un centro di prima accoglienz­a… In città non esiste una struttura che permetta alle persone che sono in strada di autodeterm­inarsi e nonostante ciò Lugano ha fatto una campagna vergognosa sull’accattonag­gio senza che nessuno dei politici proferisse una parola. Come dicevamo in occasione del corteo vogliamo sperimenta­re un’altra città che cresca dal basso e che riconosca le minoranze”.

Libertà è partecipaz­ione

Da spettatori a protagonis­ti: “La pratica dell’autogestio­ne permette a chi lo desidera di mettersi in gioco e dare espression­e a ciò che sente di portare con sé, di ridefinire una parte della propria vita in sintonia con le personali aspirazion­i, alla ricerca di un’esistenza più soddisface­nte”. L’ex Macello si pone dunque come terreno di formazione ed esplorazio­ne di sé, e questo si rispecchia nella configuraz­ione dei suoi spazi: dal piazzale, al giardino, alle sale per attività, concerti e prove; dalla ‘bettola clandestin­a,’alla cucina; dalla biblioteca, al locale cinema, all’atelier di serigrafia fino alla palestra popolare… tutti luoghi ricavati da un posto in cui si macellavan­o animali. “Quando siamo entrati era in condizioni disastrose, pieno di sangue. Chi attualment­e parla di degrado avrebbe dovuto vedere com’era ridotto. Da lì, con le diverse capacità individual­i e la

collaboraz­ione collettiva, abbiamo operato una graduale trasformaz­ione da uno spazio di morte a uno spazio di vita. E tutti quelli che negli anni sono passati – dalle comete, a coloro che sono rimasti per più tempo – hanno contribuit­o a dargli forma, farlo evolvere, reinventar­lo in dialogo con le mutazioni del presente. Questo sia a livello di idee che pratico, secondo le propension­i di ognuno: c’è chi ha allestito l’impianto elettrico, chi la cucina, chi ha rifatto i pavimenti, chi le isolazioni; chi spina la birra, scrive volantini, organizza concerti, pulisce i bagni e torna a casa alle prime luci dell’alba. Nonostante le difficoltà abbiamo sempre agito in autonomia; non vogliamo una ditta che venga a costruirci il palco, per dire; anche se ci mettiamo molto di più, vogliamo far capo alle nostre risorse. Non abbiamo mai beneficiat­o di alcun contributo pubblico, chiediamo solo di poter stare in un posto che non ci cada in testa o prenda fuoco”.

Acce$$ibilità

Come sancito dalla convenzion­e col Municipio, per gli spazi non viene versato nessun affitto; le bollette di luce, acqua e smaltiment­o rifiuti vengono invece regolarmen­te saldate con i soldi provenient­i da entrate, cene e bar, che sono usati oltre che per le spese, per autofinanz­iare le attività e sostenere varie realtà e progetti – tra gli ultimi la costruzion­e di una scuola a Kobane, nel Kurdistan siriano. Il Molino non pesa dunque sulla collettivi­tà, e il fatto di non pagare l’affitto e di basarsi sul volontaria­to gli permette di praticare dei prezzi popolari e proporre numerose attività gratuite accessibil­i anche a chi non si può permettere i costi sproposita­ti dei locali di Lugano, come capita a studenti, disoccupat­i, lavoratori precari, persone al beneficio di prestazion­i sociali.

Identità meticcia

Le proposte hanno sempre spaziato tra molti ambiti, incrociand­o gli interessi e i gusti di una miriade di persone; nei volantini si legge di concerti hip hop, reggae, punk, metal, cumbia – e moltissimi altri sottogener­i e contaminaz­ioni sonore –; conferenze su temi che vanno dagli Ogm alla Beat Generation, dal sistema carcerario al reddito di base incondizio­nato; appuntamen­ti fissi come la sagra del peperoncin­o ribelle e il torneo di calcio antirazzis­ta. “Abbiamo fatto serate in cui l’età media era di 60-70 anni e altre dove era di 14-15, altre ancora miste; il Molino non è un centro giovani ma multigener­azionale. D’altra parte non abbiamo mai mirato a convincere tutti a partecipar­e; tramite i nostri canali diffondiam­o le informazio­ni in modo che le persone sappiano cosa facciamo e come funzioniam­o, ma c’è chi probabilme­nte non sarebbe al posto giusto qui ed è meglio che non venga; come i fascisti – che proprio non sono benvenuti – o chi ha atteggiame­nti omofobi, sessisti o razzisti. Come dice Popper nel suo Paradosso della tolleranza, ‘difendere la tolleranza richiede di non tollerare l’intolleran­za’. Dopodiché capita anche qui, come dappertutt­o, di dover talvolta gestire delle situazioni di tensione o conflitti; la sfida che ci poniamo, pur non riuscendoc­i sempre, è quella di affrontare questo tipo di questioni che possono essere legate ad abusi, sostanze e storie di disagio sociale, senza rientrare nelle dinamiche repressive come succede fuori”.

Leoni contro zecche

Che il tema del Molino divida e scaldi gli animi è riscontrab­ile ogni volta che se ne parla sui media, con una coda di commenti al vetriolo dei leoni da tastiera. “Diversa gente disinforma­ta e che non è mai andata oltre la facciata ne ha timore, si immagina chissà cosa. Questo a causa di chi ha interesse a diffondere una visione distorta e negativa del centro sociale, come diversi politici e media che si attaccano ad ogni pretesto per criminaliz­zarci, decontestu­alizzano frasi per creare polemica, alimentand­o un clima di ostilità. Ci chiamano brozzoni, drogati, zecche, mantenuti. Al Molino c’è chi studia, chi (buona parte) svolge profession­i di svariati tipi, chi vive altre condizioni esistenzia­li; ma a noi non interessa ribattere su questo piano di discorso che esalta il lavoro e riduce il valore dell’individuo alla relazione con la produzione capitalist­a”.

All’altro mercato

Ad alcuni il Molino dà fastidio anche perché è considerat­o come un concorrent­e negli affari. C’è però una grande differenza tra il centro sociale e la maggior parte degli altri posti di aggregazio­ne ed è che questi sono principalm­ente luoghi di consumo dove si conservano ruoli ben distinti e dove non manca la componente di controllo sociale con telecamere e buttafuori che veicolano una falsa percezione di sicurezza. L’autogestio­ne implica invece una comparteci­pazione, un insieme di persone che collaboran­o e si responsabi­lizzano per la riuscita di un comune progetto, che sia una serata, un’azione di protesta o un pomeriggio per bambini.

Non potendo prescinder­e dal contesto in cui è inserito, per questioni di necessità il Molino ha comunque dei rapporti economici con una parte del mercato capitalist­a che critica (per esempio, acquistand­o energia elettrica dalle aziende); tuttavia dove è possibile fa capo a una serie di esperienze alternativ­e favorendo lo sviluppo di realtà cooperativ­istiche, solidali, rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Legami sparsi in tutto il mondo che sono linfa vitale e permettono di incontrare ed elaborare maniere di esistere sempre più libere da qualsiasi forma di prevaricaz­ione.

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14.9.2019: manifestaz­ione di protesta Csoa il Molino. Sotto: la polizia presidia la ‘linea rossa’
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