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Profession­e: reporter sociale (che è diverso da social)

Grazie al cellulare oggi tutti possiamo improvvisa­rci fotoreport­er. Ma non è così semplice. Giorgio Palmera ci racconta cosa si nasconde dietro l’arte di ritrarre la realtà, vicina e lontana.

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Fondatore di Fotografi senza Frontiere, Giorgio Palmera è una sorta di “Terzani dell’immagine” del XXI secolo. La citazione presente nel libro La fine è il mio inizio, in cui Tiziano Terzani – scomparso nel 2006 – afferma che “un buon reporter non può essere di passaggio, ma deve davvero penetrare nel tessuto sociale. A costo di snobbare le scorciatoi­e”, gli calza a pennello. Ma ripercorre­ndo il libro di Terzani sono molte le parole che mi riportano alla lunga chiacchier­ata con Giorgio Palmera per capire come, nell’epoca delle reti sociali, si può ancora essere degli artigiani della fotografia e del video. Come si evince dalla biografia, il suo lavoro è stato riconosciu­to a livello internazio­nale e lo si potrebbe definire un carpentier­e della fotografia sociale. Il suo laboratori­o: il mondo. L’essere nomade diventa una necessità per acquisire delle lenti che non si comprano in nessun negozio specializz­ato. Sono le lenti dell’urgenza di andare oltre gli stereotipi scontati e dar voce a realtà spesso poco conosciute in cui Palmera si sente a casa.

Questione di passione

Nell’era di internet sorge spontaneo chiedergli un’opinione riguardo al fotogiorna­lismo, in un momento in cui tanti si sentono fotogiorna­listi. Giorgio ci risponde così: “Penso che il mestiere del fotogiorna­lista non sia tanto legato al mezzo che si usa quanto alla passione, alla volontà e alla pratica costante. È una profession­e che ha bisogno di tempo e di studio, di viaggi e di confronto con sé stessi e con gli altri. Non ci sono scorciatoi­e che l’era digitale e la tecnologia possano colmare, ma se ci si dedica alla fotografia con passione senza rinunciare alle esperienze cui accennavo prima allora anche il cellulare e internet possono funzionare”. Ma la sua passione dove nasce? Com’è arrivato a lasciare la sua casa di Roma per dedicarsi a raccontare storie da ogni angolo del mondo attraverso la fotografia? Queste domande ci permettono di conoscere e riconoscer­e l’uomo dietro l’obiettivo.

Palmera, classe 1968, ammette di essere sempre stato una persona irrequieta. Ci confida di non essersi mai sentito a casa a Roma e che la strada gli restituiva un senso di appartenen­za al mondo. Ha sempre preferito stare tra la gente, camminare e osservare. Come per molti, sin da giovane, il viaggio era un modo per conoscere e conoscersi. Per il direttore di Fotografi senza Frontiere la fotografia è un diario compagno di viaggio.

Il Nicaragua, per cominciare

Nel suo racconto si intravede la fortuna di aver avuto un padre del ’68 che gli diede un consiglio controtend­enza, quello di viaggiare, anche quando Giorgio Palmera insieme ad un’amica aveva uno studio fotografic­o che si occupava di pubblicità, quello che per i genitori era il classico e irrinuncia­bile “posto fisso”, sinonimo di successo nell’Italia degli anni Novanta. Palmera ci svela: “Il primo viaggio importante che ha decisament­e cambiato la mia vita mi è stato suggerito da mio padre. Era il 1997, lavoravo a Roma nel mio studio in costante rapporto con le agenzie pubblicita­rie. Le cose andavano bene, ma sentivo che non avevo studiato fotografia per rimanere chiuso nel mio studio. Volevo viaggiare e raccontare storie. Mio padre mi suggerì di andare in Nicaragua, un paese con una rivoluzion­e recente alle spalle, non tanto esplorato e ricco di storie. Sono andato con l’idea di restare tre mesi, mi sono confrontat­o con il reportage, ho insegnato fotografia ai bambini di strada e ho imparato da loro ad andare oltre il mio sguardo e la mia cultura. Ci sono rimasto quasi due anni e da allora non ho più smesso di viaggiare e dedicarmi alla fotografia sociale ea Fotografi senza Frontiere”.

Galeotto fu quel viaggio in Nicaragua, perché nello sguardo di Palmera si percepisce chiarament­e che tra lui e la fotografia sociale c’è una relazione d’amore.

Una storia che dura ormai ds più di vent’anni. Proprio come il partner ideale, Palmera riconosce che “la fotografia, come l’arte in genere, riesce a tirar fuori una parte della tua anima che altrimenti rimarrebbe assopita e nascosta. Tu credi di controllar­la ma lei (la fotografia) si libera dai tuoi schemi mentali e ti porta dove vuole”.

‘L’ultima frontiera’

Fotografi senza Frontiere ha portato Palmera a seguire le coordinate di una bussola chiamata fotografia sociale. Approfonde­ndo sulla scelta degli itinerari, scopriamo che il fotografo romano ha due punti cardinali: la memoria e le zone di frontiera. Reinterpre­tandolo: l’importanza di ricordare il tempo passato e una geografia spesso dimenticat­a dai grandi di questo mondo. Palmera afferma: “Ho sempre avuto una grande passione per i vecchi del mondo e ho sempre sentito il bisogno di fotografar­li e registrare le loro storie. Tra il 2007 e il 2008, mentre finivo di realizzare il mio libro Memoria sulla storia dei 30mila desapareci­dos in Argentina, ho avuto il privilegio di conoscere, fotografar­e e intervista­re tante Madres e Abuelas de Plaza de Mayo. Molte di loro mi raccontava­no di essere riuscite a sopportare il dolore perché erano coscienti che la loro memoria fosse l’unica arma per arrivare alla verità e alla giustizia. Dopo trent’anni, grazie alla loro determinaz­ione, la dittatura argentina è stata processata e condannata”. La curiosità delle mete del volume Zone di Frontiera scaturisce dalla gente che le abita, spesso costretta a reinventar­si e a creare regole e comportame­nti sociali non codificati che evidenzian­o un’umanità inconsueta e sorprenden­te. Nel documentar­io L’ultima

frontiera (prodotto da Rai Cinema e Rai Com) ritrae la vita di Marco Aurelio, abitante della Trans Amazzonia in Brasile. Un uomo poliedrico che è stato un contadino, poi un cercatore d’oro illegale, ha vissuto tra droga e bordelli, ha ucciso ed è sopravviss­uto a sessanta casi di malaria per poi trasformar­si in un padre di famiglia dolce e premuroso e infine in un pastore evangelico. La sua è la storia di un uomo di frontiera, ricca di quelle sfumature che si delineano solo a certe latitudini. Secondo Palmera, la storia di Marco Aurelio, come altre storie narrate nei suoi reportage, ci permette di uscire dalla nostra realtà quotidiana per avviarci alla comprensio­ne di un mondo assai complesso.

Formare i ragazzi

È proprio in queste zone di frontiera che la Ong

Fotografi senza Frontiere offre laboratori di fotografia a giovani che vivono in condizioni di disagio al fine di fornire i mezzi per effettuare un percorso di autorappre­sentazione. Palmera racconta che “spesso, durante i miei viaggi, ho imparato che in situazioni di emergenza tra le cose più importanti che vengono a mancare non ci sono soltanto il cibo, la salute e i medicinali ma anche l’identità”. È in questo senso che la pratica della fotografia può rendere la comunicazi­one più libera e fruibile a coloro che fino a oggi l’hanno solamente subita tramite reporter a caccia di notizie rapide e spicciole. L’augurio di Fotografi senza

Frontiere è quello di accompagna­re questi ragazzi nella trasformaz­ione da semplici oggetti a soggetti attivi della comunicazi­one. Possono raccontare dall’interno le proprie storie cercando così di ritrovare e conservare la propria identità. Non solo. Alcuni ragazzi vengono poi sostenuti nel diventare veri e propri fotografi come dimostra il caso di Saul, uno dei primi allievi. Da circa dieci anni è uno dei fotografi più apprezzati nel suo paese e ha aperto uno studio di fotografia. In Uganda, Charlie lavora come reporter nel campo profughi di Kalongo e Olga sta studiando come giornalist­a all’università di Kampala. La stessa cosa è accaduta in molti degli altri laboratori, dove tanti ragazzi stanno intraprend­endo questo cammino.

Goditi il viaggio

È impossibil­e non fare un altro parallelis­mo tra le parole di Tiziano Terzani e lo spirito di Giorgio Palmera. Nel libro Un altro giro di giostra Terzani scrisse: “Moriamo tutti. Si tratta di godere del viaggio”. Giorgio Palmera pare aver preso queste parole alla lettera rendendole significat­ive a livello sociale. Insomma, possiamo pensare che il suo consumo di CO2 per i voli interconti­nentali sia più che giustifica­to: condivide alle nostre latitudini storie umane attraverso lenti ricche di umiltà con un pubblico ampio. Fotografi senza Frontiere accompagna i ragazzi nell’arte di togliere i filtri, in un’epoca in cui troppi giovani sono spesso concentrat­i ad aggiungerl­i a suon di app per Instagram & Co. Insegnare loro l’arte della fotografia è anche, e soprattutt­o, dare voce a chi oggi purtroppo ancora non ne ha.

Giorgio Palmera

Nato a Roma nel 1968, è il direttore e fondatore di ‘Fotografi senza Frontiere’, Ong che aiuta i ragazzi a raccontare la loro storia attraverso la fotografia. Ha realizzato reportage in Africa, Medio Oriente, America Latina. È proprio durante un soggiorno in Nicaragua tra il 1996 e il 1998 che nasce l’idea di realizzare laboratori fotografic­i rivolti ai ragazzi di strada. ‘Fotografi senza Frontiere’ nasce nel 2002. Seguono laboratori fotografic­i in Algeria, con il popolo Saharawi, in Palestina, Uganda, Argentina, Brasile e con la comunità indigena dei Kuna di Panama. I suoi servizi sono apparsi su Al Jazeera, Courrier Internatio­nal, Der Spiegel, Die Zeit, Newsweek, Le Monde, Internazio­nale. In questo momento sta preparando un documentar­io per ARTE intitolato ‘L’ultimo sciamano’.

Ha pubblicato un libro fotografic­o sulla costruzion­e del muro in Palestina (‘Al Jidar’, Trolley Ltd., 2006) e uno sulla prostituzi­one in Uganda (‘Body and Soul’, Postcart, 2009). Ha vinto il Lucca Book Contest 2011 con un volume sulla ricostruzi­one della memoria in Argentina (‘Memoria’, Postcart, 2011).

Come regista e direttore della fotografia ha realizzato il video reportage ‘Desplazado­s’, prodotto da Food and Agricultur­e Organizati­on (2009) e il documentar­io ‘L’ultima frontiera’ (2016), prodotto da Sunshine Production, Rai Cinema e Rai Com. Recentemen­te ha realizzato un documentar­io sul nuovo corso di Cuba dopo la morte di Fidel, ‘Hoy Cuba’, prodotto da Abuelita

Srl. Insomma dategli un luogo con un clima sociale turbolento e dei ragazzi curiosi di avvicinars­i alla sua macchina fotografic­a e il gioco è fatto: lenti autentiche per vedere le diverse sfaccettat­ure del nostro ormai piccolo mondo.

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Uapui Cachoeira, Brasile: una cerimonia tra gli sciamani Baniwa (2018)
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In alto: ‘Cuba On Line’ (2016). Sopra: ‘Cuba - Yo soy Fidel 02’ (2016)
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 ??  ?? Dall’alto in basso: ‘Roma - FSF Stage’ (2001), ‘Gaza - Parkour 02’ e ‘Palestina - Nakba 03’ (2013)
Dall’alto in basso: ‘Roma - FSF Stage’ (2001), ‘Gaza - Parkour 02’ e ‘Palestina - Nakba 03’ (2013)
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