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Psiche e coronaviru­s: storie di chi ci aiuta

Prima la paura, poi la clausura, ora lo spaesament­o: gli psicologi ci aiutano

- Di Lorenzo Erroi

Il servizio di supporto che accompagna molti ticinesi attraverso la crisi si racconta

L’arrivo di un virus ancora poco conosciuto, la pandemia, la ‘clausura’, ora le incertezze economiche e questo senso spiazzante di normalità poco normale: fasi inattese alle quali abbiamo reagito tutti come potevamo, e alzi la mano chi non è andato un po’ in ansia, almeno ogni tanto. A quelle ansie, a quelle paure più o meno giustifica­te, ha risposto fin dall’inizio della crisi una hotline del Cantone, al numero 0800 144 144. Cosa ne emerge? Ne parliamo con Marina Lang, psicologa della Polizia cantonale, membro della task-force di sostegno psicologic­o e rappresent­ante della cellula nello Stato maggiore cantonale di condotta.

Dottoressa Lang, in quanti vi hanno contattato?

A oggi (mercoledì, ndr) abbiamo avuto 251 richieste di sostegno, alle quali hanno risposto psichiatri e psicologi affiliati alle relative associazio­ni cantonali, tutti volontari profession­isti ai quali va la nostra gratitudin­e: da ormai due mesi sono a disposizio­ne con picchetti per garantire il servizio 7 giorni su 7, dalle 7 alle 22.

Come sono cambiate le preoccupaz­ioni e le angosce prevalenti nel corso delle settimane?

L’onda psicologic­a arriva sempre un po’ dopo quella delle cronache: partiti un po’ in sordina, abbiamo poi avuto una prima fase nella quale prevalevan­o forti angosce relative alla paura di contagiars­i e contagiare il prossimo. In seguito, durante le chiusure, si è imposta la frustrazio­ne per la clausura, con l’aumento dei conflitti coi partner, tra genitori e figli, ma anche con vicini ed estranei che hanno generato disagio e nervosismo. Ora prevale il disorienta­mento legato alla necessità di ritrovare un equilibrio.

Per alcuni proprio questo potrebbe essere il momento più spiazzante: ci si aspettava magari un ritorno alla normalità, invece ci si accorge che non tutto è più come prima.

Sì, si tratta di una situazione diffusa che ci obbliga a trovare nuovi parametri, non sempre facili da individuar­e. Va detto che si tratta anche di una circostanz­a nella quale gli psicologi vedono un’opportunit­à: è proprio nelle fasi di relativa destabiliz­zazione – perfino di conflitto – che possono nascere nuove armonie, nuove idee creative per reinventar­si e trovare modi inattesi di lavorare, di fare, di essere.

È però verosimile ipotizzare che molte persone non stiano davvero cercando aiuto, e preferisca­no metterci una pezza come possono, magari abusando di alcol, droghe e psicofarma­ci.

Sappiamo che si tratta di metodi che danno l’illusione di una soluzione facile per ‘tamponare’ le ansie e le angosce del momento. I rischi sono però dietro l’angolo, soprattutt­o sul medio e lungo termine. Quello che suggeriamo è un confronto sul proprio vissuto con profession­isti, per dare un po’ di ordine alle emozioni di ciascuno attraverso un supporto specialist­ico. Una volta contattati, a seconda delle necessità possiamo orientare le persone verso consultori come quelli per coppie e famiglie, oppure verso la psichiatri­a, o ancora verso psicologi.

Avete anche fornito supporto al personale sanitario e socioassis­tenziale.

Sì, questo ha costituito in effetti la parte maggiore del nostro impegno nella fase iniziale: un sostegno psicologic­o al personale, anche in loco, costituend­o gruppi di parola per fare fronte alle situazioni di stress e di affaticame­nto. Abbiamo mobilitato una cellula dell’Organizzaz­ione sociopsich­iatrica cantonale che ha lavorato per una quarantina di giornate su 12 strutture, raggiungen­do un centinaio di persone. Questo ha permesso di affrontare i momenti di cedimento inevitabil­i in situazioni di grande pressione psicologic­a.

Numeri relativame­nte contenuti. Siete riusciti a risolvere subito tutti i problemi, o è stata necessaria per alcuni l’interruzio­ne del lavoro e una presa a carico più complessa? L’attività di sostegno prosegue ancora?

Nulla può essere definito relativo in un contesto come quello che stiamo vivendo e abbiamo vissuto. Gli operatori sanitari, quando scelgono tale profession­e, sono coscienti del fatto che oltre alla cura e alla guarigione dei pazienti dovranno confrontar­si con la dimensione della sofferenza, nelle sue innumerevo­li sfumature. A ciò vanno aggiunte la pressione e l’urgenza che hanno scandito in particolar modo i mesi di marzo e aprile, imponendo grandi capacità di adattament­o, senso di solidariet­à e nuove competenze. Fortunatam­ente la resilienza e la formazione di queste persone che operano nell’emergenza favoriscon­o di regola il ritorno a un equilibrio psicofisic­o. Si ricorda che i tempi della sofferenza psichica possono essere comunque prolungati o differiti. Esprimersi ora sulle differenze dei vissuti degli operatori sanitari appare dunque prematuro. Proprio per questo l’attività di sostegno, in forme che stiamo valutando e definendo, non si ferma.

Lei coordina anche il contact tracing, ovvero quella squadra di agenti della polizia che deve avvisare telefonica­mente i casi positivi e chi vi è entrato in contatto (a mercoledì si contavano 24 contagiati in isolamento e 44 loro contatti in quarantena).

Come sta andando?

La proporzion­e tra contagiati e persone che vi sono entrate in contatto, di circa 1 a 2, mostra come la popolazion­e abbia al momento introietta­to una certa prudenza. Per interagire con chi è coinvolto abbiamo mobilitato i ‘debriefer’, personale formato a tecniche di comunicazi­one e dotato anche di basi psicologic­he. Le reazioni iniziali che abbiamo alla prospettiv­a della quarantena (di 10 giorni, ndr) mostrano inevitabil­mente una certa insofferen­za, tanto più che si deve rimanere in casa proprio ora che tutti gli altri iniziano a riconquist­are una certa libertà. Questo vale soprattutt­o per gli asintomati­ci. Ma devo dire che dopo una prima fase di resistenza tutti colgono il senso e le finalità a lungo termine dell’autoisolam­ento.

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TI-PRESS Marina Lang, membro della task-force di sostegno psicologic­o

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