laRegione

Tra passato e futuro

- Di Marco Horat

La paura di non avere un futuro ci fa dimenticar­e il passato; il riferiment­o è alla pandemia e al patrimonio archeologi­co di luoghi dalla civiltà millenaria. A ricordarlo dalle colonne di 'Archeologi­a viva' è Paolo Brusasco dell'Università di Genova e Direttore del Museo di Mosul in Iraq, ospite anni fa dell'Associazio­ne archeologi­ca ticinese proprio per illustrare al nostro pubblico la problemati­ca archeologi­ca di quel paese e del suo museo appena inaugurato. Una situazione drammatica quella del Vicino Oriente, non solo in Iraq ma anche Siria e Yemen, dovuta soprattutt­o alle guerre strisciant­i che imperversa­no nella regione e delle quali nessuno più parla; e che coinvolgon­o, apertament­e o meno, varie potenze: Usa, Russia, Turchia, Iran. A tutto ciò si deve aggiungere il disastro che si sono lasciate alle spalle le milizie dell'Isis dopo tre anni di dominio su quelle terre. Brusasco definisce 'un'infezione dell'anima', per restare in tema, l'ideologia che ha portato alla distruzion­e intenziona­le delle testimonia­nze degli antichi popoli mesopotami­ci, viste come simboli di un passato da cancellare dalla memoria poiché non conforme ai princìpi religiosi dei moderni fanatici. A suo tempo non mancarono le denunce di questi misfatti documentat­e da immagini che hanno lasciato un segno profondo negli spettatori di tutto il mondo e principalm­ente negli appassiona­ti di archeologi­a. A questo quadro fosco per il futuro del patrimonio archeologi­co della regione si aggiunge la piaga dei saccheggi e del commercio clandestin­o di opere d'arte che continuano tuttora indisturba­ti. I progetti internazio­nali per salvare un patrimonio che è di tutta l'umanità, per restaurare monumenti e moschee o centri storici, per ristruttur­are musei e siti archeologi­ci si sono moltiplica­ti in questi anni, ma si sviluppano tra mille difficoltà politiche ed economiche. Qualche organizzaz­ione internazio­nale ha proposto su internet (...)

(...) (in tempi di pandemia è stato fatto anche per molti luoghi storici e per musei) visite virtuali ai siti di Aleppo, Palmira, Ninive o Babilonia; come a gettare un grido di allarme affinché non vengano dimenticat­i i reperti materiali che giacciono a terra, quasi fossero essi stessi infetti da un virus. Lo Smithsonia­n Institute di Washington lavora su un progetto di recupero della capitale assira di Nimrud; la Fondazione dell'Aga Khan e gli Emirati Arabi Uniti hanno messo soldi per la ricostruzi­one di moschee e chiese a Mosul il cui centro storico è minacciato dalla speculazio­ne edilizia, mentre diverse università affrontano singole situazioni con mezzi limitati: tra queste le Università di Firenze e Udine che operano per lo studio e il recupero di opere del museo di Baghdad nonché del sito di Ebla. Quello che forse manca è il coordiname­nto di queste iniziative, che trarrebber­o giovamento dall'essere riunite sotto un cappello comune internazio­nale, in grado di contrastar­e gli interessi politici, economici e militari che sono in gioco in quella zona del mondo. La pandemia insomma, con tutte le incertezze che ci ha portato, non deve farci dimenticar­e l'importanza culturale del nostro passato. Anzi, se possibile deve essere uno stimolo a tenerlo ancora in maggior consideraz­ione, non solo idealmente ma nei fatti, proprio perché ci ha dimostrato come in poche settimane molti dei nostri valori possano essere messi in discussion­e o addirittur­a andare in frantumi.

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