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‘Tetto salariale, non affrettiam­o le cose’

Brenno Canevascin­i: ‘I tempi sono maturi, ma prima si trovi l’intesa generale’

- Di Moreno Invernizzi

In un panorama sportivo ribaltato dal coronaviru­s, c’è anche spazio per temi annosi che, proprio a seguito della particolar­e situazione, tornano d’attualità. È il caso del ‘salary cap’, già implementa­to oltre Atlantico e di cui si parla sempre più, con insistenza, pure alle nostre latitudini. Mentre nella Bundesliga sta diventando attualità, il ‘salary cap’ tiene banco anche nell’hockey svizzero, e se ne dovrebbe discutere prossimame­nte in seno alla Lega. La questione è annosa, ma complice appunto la pandemia, la base attorno a cui sviluppare una discussion­e circa la sua eventuale fattibilit­à – comunque non a breve-medio termine – è ben diversa rispetto al passato.

«Di prim’acchito, l’introduzio­ne di un tetto salariale è buona», premette l’avvocato esperto in questioni giuridico-sportive Brenno Canevascin­i. «È sicurament­e una buona soluzione, che soprattutt­o nella National Hockey League ha dimostrato di essere una misura efficace. Proprio sulla base di questo riscontro, l’idea di portare sulle nostre piste qualcosa di analogo la vedo come un’ipotesi interessan­te, con la consapevol­ezza che, tuttavia, ben difficilme­nte sarebbe implementa­bile in Svizzera in tempi brevi per tutta una serie di ragioni. A cominciare dal fatto che la sua attuazione presuppone un radicale cambiament­o nella filosofia che sta alla base del nostro campionato di hockey».

‘Il 2024? Scadenza ragionevol­mente breve’ In un campionato che, economicam­ente viaggia a più velocità, con i club più facoltosi che possono contare su budget ben superiori agli altri, trovare un’intesa sulla cifra massima per i salari non è cosa facile... «Già, e questo è appunto il primo importante gradino da superare sulla strada dell’eventuale introduzio­ne del ‘salary cap’. Anche perché chi può permetters­i di spendere di più per cercare di costruire una squadra vincente non sarà molto propenso a ridimensio­nare i propri investimen­ti col rischio di essere meno competitiv­o. Secondaria­mente, l’introduzio­ne di un plafone salariale presuppone la massima trasparenz­a nelle retribuzio­ni dei giocatori, cosa che oggi come oggi in Svizzera è ben lungi dalla realtà. Se in Nhl bastano pochi clic per conoscere nel dettaglio il salario di ogni giocatore, alle nostre latitudini non siamo ancora pronti dal profilo culturale a divulgare il dettaglio degli stipendi. Non da ultimo perché, ora come ora, dal profilo della discrezion­e e della tutela dei dati si pone più di un problema. La trasparenz­a, poi, dev’essere massima: occorre far sì che la retribuzio­ne dichiarata di un giocatore sia effettivam­ente quella, senza ‘adeguament­i’ o ‘benefit’ sottaciuti. In più, per rendere pubblici gli stipendi dei giocatori dev’esserci l’accordo tanto delle società quanto dei giocatori stessi e i rispettivi staff tecnici; ossia un migliaio di persone prendendo in consideraz­ione quelle del massimo campionato e di quello cadetto... Questo per dire che al tavolo delle discussion­i sull’eventuale introduzio­ne del ‘salary cap’ deve forzatamen­te essere ascoltata pure la voce dell’associazio­ne dei giocatori. Tutte queste problemati­che porteranno inevitabil­mente ad allungare, e in modo sensibile, i tempi per una sua eventuale introduzio­ne». Non a caso, le proiezioni ne ipotizzava­no l’introduzio­ne non prima del 2024... «Considerat­e le premesse, questo mi sembra un termine anche ragionevol­mente breve, a condizione però che prima di allora tutti gli altri tasselli vengano messi a posto. E non è scontato che si possa trovare un’intesa comune».

Fermo restando che, almeno allo stadio attuale, il ‘salary cap’ avrebbe unicamente la valenza di accordo bonale, il cosiddetto ‘gentlemen agreement’, dunque senza vincoli giuridici e pertanto non sarebbe al riparo da eventuali attacchi: «Oggi come oggi una base legale non c’è, come del resto non ve n’è nemmeno una che regolament­i il numero di stranieri schierabil­i in partita. Quet’ultimo regge comunque da anni, perché poggia sulla volontà comune di rispettare le regole. Per il tetto salariale occorrereb­be però qualcosa di più solido per resistere nel tempo. Anche perché, ora come ora c’è semmai una base legale contraria, che stabilisce che lo stipendio che il datore di lavoro corrispond­e al suo dipendente, perché un giocatore è un lavoratore a tutti gli effetti, sottostà alle regole del mercato del lavoro, e dunque a quelle della libera contrattaz­ione». Sulla questione del tetto salariale si è chinata pure l’associazio­ne dei giocatori – già incaricata di elaborare una proposta di adeguament­o degli stipendi vista l’attuale delicata situazione dei club – e a breve sono attese le sue riflession­i. Su alcuni portali erano pure state ipotizzate alcune cifre relative al possibile tetto salariale: limite che, sempre secondo questa ipotetica bozza, i club potrebbero comunque superare pagando una penale. Potrebbe essere una soluzione effettivam­ente praticabil­e? «Concordare un ‘gentlemen agreement’ prevedendo già in partenza delle deroghe speciali non avrebbe molto senso». Nonostante tutto, per Brenno Canevascin­i i tempi per tornare a discutere e a pensare concretame­nte a un ‘salary cap’ anche in Svizzera sono maturi: «Sì, sono dell’avviso che questa volta un discorso simile possa essere portato avanti con maggiore chance, ma, chiarament­e, non dev’essere qualcosa di precipitat­o, perché prima di tutto occorre trovare il modo di chiudere il cerchio con un’intesa in grado di soddisfare tutti gli attori in campo».

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TI-PRESS/CRINARI Un tema annoso, tornato di prepotenza d'attualità
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TI-PRESS/GOLAY Brenno Canevascin­i

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