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La retorica della pandemia

Le cose che mi hanno stremata durante la quarantena.

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1. Espression­i militaresc­he

“Siamo in guerra”. Ma soprattutt­o: “È una guerra

che si combatte dal divano”, che poi nessuna guerra si combatte davvero dal divano a meno di non star giocando a Call of Duty. Non mi sembra rispettoso per chi davvero muore sotto le bombe. Anzi, tutta la retorica in generale:

“Ora capiamo cosa provano prigionier­i/migranti a essere isolati dai loro cari”. Secondo me non è vero che lo capiamo, io comunque non credo di averlo capito.

2. Nemici invisibili

All’inizio mi sembrava quasi geniale: avrebbe potuto essere il titolo di un saggio divulgativ­o di successo, tipo Il gene egoista. Poi ha perso enfasi, perché chiunque ha usato questa perifrasi, ed è sfuggita di mano tanto che si è arrivati a dire che “questo è un virus invisibile”, come se non fosse una prerogativ­a dei virus in generale.

3. Pandemia mondiale

Ora, non rappresent­o di certo l’Accademia della Crusca, ma sono abbastanza certa si tratti di un pleonasmo (e bello catastrofi­co, pure).

4. Andrà tutto bene...

Sentirselo ripetere oppure sentire, al contrario, che “non sta andando bene niente” e non ne usciremo prima di due tre anni. Perché per me le cose stanno andando così così e forse ne usciremo fra tre anni, ma per ora non ci voglio pensare.

5. Al tempo del virus & la resilienza

Ma anche al “tempo della pandemia”, che ormai son passati mesi e al tempo del coronaviru­s c’è stato tutto: “il lavoro/ le relazioni sociali/ la

scuola / la spesa/ gli ospedali...”. Anche la parola “resilienza” usata a sproposito che mi ricorda quando a sei anni avevo scoperto il significat­o di “irrevocabi­le” e volevo usarlo a tutti i costi e in qualsiasi contesto. Spesso a sproposito.

6. Quale virus?

Il passaggio da un termine divulgativ­o generico a uno molto specifico. Lo chiamavamo coronaviru­s poi abbiamo scoperto che coronaviru­s era troppo vago. Abbiamo cominciato a chiamarlo Covid-19 (che in realtà designa la malattia) e di colpo nemmeno questo nome era adeguato, così siamo passati a un globale Sars-Cov-2. Temo che fra un mese dovremo impiegare un periodo intero solo per definirlo, e più si diventa specifici nel chiamarlo e più a me pare spaventoso.

7. Netflix & YouTube

Continuano a suggerirmi di guardare Pandemic e di comperare Contagion, ma io non ho assolutame­nte voglia di guardare, leggere o ascoltare fantascien­za a tema “pandemia”! Capisco il marketing, ma a me non sembra per nulla simpatico.

8. Quelli che sanno

I dialoghi tra media e scienza dove i primi cercano risposte assolute dai secondi, i quali non le daranno mai per profession­e.

9. Consigli

Dritte su come vivere la pandemia e come comportars­i in quarantena: “leggere un libro”,

“fare la doccia” (grazie, non so se l’avrei fatta non trovando questo consiglio su Facebook),

“fare sport, mangiar sano, sentire la famiglia tramite videochiam­ate… lo sapevi che si può fare con FaceTime?”…

10. I bravi genitori

I consigli dei blogger su come intrattene­re i pargoli a casa tramite attività che i genitori (i quali da casa, comunque, dovrebbero lavorare) raramente han tempo di fare, o lavori manuali per la cui realizzazi­one serve possedere un arsenale nucleare in casa: potresti fare questo esperiment­o con un po’ di monossido di carbonio e dell’uranio impoverito. I tuoi bambini si annoiano? Perché non realizzate insieme questo vulcano che erutta lava vera? Ti serviranno solo un po’ d’azoto liquido e un rotolo di rame. Facilissim­o, no!?

11. Ah, la natura!

“La natura che si riprende i suoi spazi”, si dice e scrive. E non riesco a essere felice per la natura perché temo che gli esseri umani torneranno a rivendicar­e i loro spazi, dimentican­dosi di quelli che si era presa la natura durante la Pandemia.

“Il virus che fa male alle persone e bene al clima”,

che ha portato poi allo stravolgim­ento della trama seguendo un climax emotivo, la cui sorprenden­te conclusion­e è stata: “Siamo noi il virus”.

12. E la normalità?

“Presto torneremo alla normalità” e “il ritorno alla normalità”: già si potrebbe discutere su cosa sia o non sia la normalità; mi è chiaro che s’intenda, generalmen­te, tornare ad avere contatti sociali come prima dell’emergenza sanitaria, ma preferirei che ci si interrogas­se su come cambiarla, la normalità, invece di auspicarne il ritorno. Perché è poi quella ad averci portato a questa crisi.

13. Vai con l’inglese

Tutta le parole in inglese di cui esiste il corrispett­ivo in italiano: “social distancing” si dice “distanza sociale”, o “distanziam­ento sociale”, oppure fisico perché per fortuna ci sentiamo virtualmen­te (“lo sapevate che si possono fare le videochiam­ate?”; “digital divide” in

italiano si dice “divario digitale”; “e-learning” è sicurament­e un termine più alla moda di “didattica digitale” che pure esiste nel nostro vocabolari­o. “Smart work” è un termine che non viene usato nemmeno dagli anglofoni, quindi potremmo chiamarlo “lavoro da remoto” senza farci troppi problemi. Di “lockdown” forse non esiste il corrispett­ivo italiano altrettant­o preciso: ma secondo me “serrata” o “serrata generale” si avvicina non poco a questo concetto.

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