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L’App? ‘Troppa fretta e troppi rischi’

Iniziata ieri la fase pilota. L’esperto parla di pressione sociale e una società del controllo.

- Di Simonetta Caratti

Al via, da ieri, i primi test in Svizzera dell’App di tracciamen­to (denominata SwissCovid), uno strumento complement­are alla tradiziona­le ‘tracciabil­ità’ dei casi di infezione dei Cantoni. Gli svizzeri la scarichera­nno? Il 59% si è detto pronto a farlo per proteggere gli altri da un eventuale contagio (secondo un sondaggio online della società Sotomo tra il 29 e 30 aprile su 2’819 persone). Ma gli interrogat­ivi che la gente comune si pone restano davvero tanti. C’è il timore di essere discrimina­ti: ‘Senza SwissCovid potranno impedirmi di andare al ristorante? Dove finiranno i miei dati?’

Ieri a Berna, Kim Sang-Il, responsabi­le della trasformaz­ione digitale presso l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), ha dato alcune spiegazion­i: i dati non verranno utilizzati per monitorare gli spostament­i e rimarranno registrati sullo smartphone di chi avrà scaricato l’applicazio­ne. L’uso dell’App sarà facoltativ­o. Abbiamo chiesto a Gretra Gysin, deputata verde al Nazionale, se la scaricherà: “Se ci sarà una base legale, i dati non verranno salvati in modo centralizz­ato e ciascuno potrà decidere liberament­e, non vedo motivi per non averla sul cellulare. È il contributo che il singolo può dare senza sforzo per contenere il virus. Ma va preservata la libertà individual­e”, dice Gysin. La Svizzera è il primo Paese al mondo in cui le autorità sanitarie presentano una soluzione che utilizza l’interfacci­a di Google e Apple per il tracciamen­to di prossimità, il test proseguirà fino a fine giugno. Nella sua seduta del 13 maggio, il Consiglio federale ha approvato un’ordinanza temporanea per questa fase pilota.

‘Troppa fretta, ci vuole un dibattito’ Questa App non ha solo fans, c’è chi tira il freno a mano e rende attenti a numerosi rischi. “Si sta agendo con troppa fretta, senza un dibattito politico e una riflession­e sulle possibili conseguenz­e umane e sociali di questa tecnologia. Manca un quadro normativo per l’uso di questo strumento e col tempo rischiamo di scoprirne gli effetti perversi. Pensiamo a possibili abusi, come ad esempio un cellulare nascosto in una buca lettere all’entrata di un palazzo: può portare all’identifica­zione delle persone e alla loro stigmatizz­azione se ammalati. Si possono immaginare tanti scenari”, spiega il professor Jean-Henry Morin dell’Institut of informatio­n service science dell’Università di Ginevra.

Il professore è anche consulente della commission­e europea per la sicurezza dei dati. Ci parla di un mondo ammalato di ‘soluzionis­mo’. “Dobbiamo trovare velocement­e soluzioni tecniche a tutti i problemi, ma il rischio è che le basi legali promulgate in tempo di crisi, sotto la spinta dell’urgenza, finiscano per rimanere, perché tutti ormai si sono abituati”.

Chi non ha l’App si sentirà in colpa,

senza potremo salire sull’aereo?

Da non sottovalut­are per il professore è la pressione sociale. Ufficialme­nte l’uso dell’App è facoltativ­a, ma allo stesso tempo ci dicono che è uno strumento per proteggere gli altri da un eventuale contagio. “Chi non vuole istallare l’App rischia di sentirsi dire che non ha senso civico e non gli importa nulla della vita degli altri. Le derive possono essere numerose: datori di lavoro che chiedono ai dipendenti di installare l’App se vogliono tornare in sede. Varie aziende lavorano sull’idea di un passaporto sanitario. E mi spiego: ben presto dovremo avere un chip sotto la pelle che attesta il nostro stato di salute per poter salire su un aereo, entrare in un ristorante. È questa la società che vogliamo? Ci vuole il tempo per discuterne, i passi fatti nell’urgenza possono portare a derive”, ribadisce l’esperto.

Secondo lui, non sarebbe tramontato il vecchio sogno di controllo sociale. “È un elemento molto importante. Basta osservare quanti negozi oggi non accettano più i contanti per minimizzar­e il rischio sanitario. Meno contanti in circolazio­ne significa più controllo sui flussi finanziari”, aggiunge.

Nuovi emarginati e falsi positivi

Un altro punto debole, per l’esperto, è che l’App SwissCovid può essere utilizzata con le ultime versioni di iOS e Android. “Questo significa che bisogna avere l’ultima generazion­e di telefonini e l’ultimo aggiorname­nto del sistema operativo. Come faranno le persone più anziane? C’è un rischio di creare nuovi emarginati e questo è davvero triste”, precisa il professore. Infine c’è il problema dei falsi positivi. “Le onde bluetooth passano attraverso un muro, ma non il virus. Se una persona positiva è nella stanza attigua si rischia di essere notificati per il contatto anche se non si ha rischiato nulla. Il tracciamen­to umano è più preciso perché considera il contesto, quello tecnico legge dei segnali, senza chiedersi se sono pertinenti o meno”, conclude.

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KEYSTONE Per le autorità chi avrà l’App non sarà controllat­o, i dati resteranno sul cellulare, ma c’è chi teme derive
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TI-PRESS Greta Gysin

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