Bus aziendali, si tiene duro
Le istituzioni sono caute. Mobalt si prepara invece a rimettere in servizio le navette.
Il vero banco di prova sarà l’autunno. Anche per la mobilità aziendale gli effetti collaterali della pandemia si misureranno a partire da settembre. Così, mentre il mondo imprenditoriale incrocia le dita e ricomincia un passo alla volta, c’è chi prepara il terreno affinché i mezzi di trasporto alternativi all’auto privata non perdano posizioni, complice la paura di salire su bus e treni. Per quanti in questi anni si sono battuti per far guadagnare strada a mezzi pubblici, navette e veicoli condivisi la sfida è di quelle cruciali. Non intende, però, cedere al pessimismo Davide Marconi, responsabile della piattaforma Mobalt. “Io resto positivo e ottimista – confida a ‘laRegione’ –: ciò che conta è farsi trovare pronti”. Del resto, era scritto che il 2020 sarebbe stato un anno di quelli da ricordare con il varo della galleria di base del Ceneri e, per il Mendrisiotto, il potenziamento del trasporto su gomma. Un altro motivo (se ce ne fosse mai bisogno) per far dire che proprio la crisi da coronavirus non ci voleva. Qui al Sud del Ticino, fa capire Marconi, occorre “attendere per capire quando ci si rimetterà in moto”, nella consapevolezza che qualche elemento di difficoltà e incertezza esiste. In effetti, tenere le distanze sui torpedoni o nel ‘car pooling’ è arduo.
Non a caso anche la Commissione regionale dei trasporti al momento è “un po’ alla finestra”, come ci conferma il suo presidente Andrea Rigamonti. È inevitabile, quindi, volgere lo sguardo verso Palazzo delle Orsoline e il Dipartimento del territorio. Gli interrogativi si affollano sul futuro della mobilità aziendale e, d’altro canto, aprono la via alle opportunità offerte dalle due ruote o dal telelavoro. Mirco Moser, capo della Sezione della mobilità, però, ci frena: “In questo momento – spiega – è prematuro stilare bilanci e valutazioni, soprattutto alla luce dell’incertezza sull’evoluzione della situazione sanitaria legata all’emergenza Covid-19”. Chi ha fatto dei piani di mobilità aziendale il suo pane quotidiano si arma di pazienza. “Il settore produttivo industriale – ci fa notare Marconi – non ha ancora visto rientrare il suo personale al cento per cento, facendo capo al lavoro ridotto e a turnazioni interne, dettate da esigenze sanitarie. Mentre le aziende legate ai servizi, che non si sono mai fermate, hanno privilegiato il lavoro a distanza e stanno facendo tornare a poco a poco i dipendenti in ufficio. Insomma, ci vorrà del tempo. Questa situazione, però, ci dà modo di cavarcela per il rotto della cuffia con il traffico e la gestione dell’auto, almeno per ora”. Come dire che il peggio verrà dopo. “Vedo problemi, anche maggiori di quelli del passato, dall’autunno. Ecco perché penso che la prova del nove sarà a settembre”. Teme dei ripensamenti da parte dei lavoratori, in particolare frontalieri? “Dai contatti che abbiamo con le aziende – fa presente – non mi sembra di avvertire un cambio di opinione sulla bontà di certe soluzioni, piuttosto sulla tempistica. Le ditte sono caute, tergiversano e, giustamente, danno la priorità agli aspetti sanitari e alla tutela dei loro collaboratori. Un altro punto da non sottovalutare è poi l’importanza di far ripartire i collegamenti ferroviari transfrontalieri”. In caso contrario, lascia intendere, il rischio di vedere più auto su strade e autostrada è tangibile. Ma qui bisognerà far aderire direttive e necessità dei due Stati, condizionate dall’andamento del virus. In ogni caso la piattaforma Mobalt, che lungo il cammino ha avuto il sostegno del Cantone e dei Comuni, scommette ancora sulle navette aziendali. “Noi spingiamo per farle ripartire – ci conferma Marconi –. Del resto, prima che scattasse il ‘lockdown’ avevamo approntato dei piani per adattare il servizio, raddoppiato nell’offerta, alle nuove disposizioni igienico-sociali. In più, oggi oltre a sanificare i mezzi e mettere a disposizione i gel per disinfettare le mani – certo con qualche costo in più pure per industrie e imprese, ndr –, siamo orientati a chiedere l’obbligo della mascherina”. Quindi si ricomincia? “Le prime navette entreranno in servizio a giugno – annuncia –. In realtà, si tratta di navette brevi a supporto del treno, dunque a cadenza semioraria, che serviranno le stazioni con maggiore frequenza, punti di partenza Lamone e, novità, Giubiasco; ci attesteremo infatti nel Sopraceneri. Mi auguro, poi, di riattivare gli altri veicoli al più tardi a settembre, una volta superate pure le questioni al confine, con la speranza che il trasporto pubblico e il ‘car pooling’ riconquistino la fiducia degli utenti”. Ciò non impedisce di sperimentare altre possibilità. È il caso, ci conforta Marconi, del telelavoro, sussidiato a livello cantonale ma sino all’emergenza sanitaria poco utilizzato. Se prenderà piede, come richiama anche Mirco Moser, contribuirà a ridurre gli spostamenti, “a tutto beneficio della gestione della mobilità”. Nel Mendrisiotto, gli fa eco il responsabile di Mobalt, “ne andrà valutata la portata, soprattutto per i frontalieri. Per loro in regime normale è permesso solo al massimo un 25 per cento del tempo di lavoro. D’altra parte, durante il ‘lockdown’ si è dimostrato che è fattibile lavorare da casa”. La crisi ha fatto emergere altresì un’altra strada possibile. “Una delle aziende che già utilizzava la piattaforma Mobalt ci ha avanzato una richiesta: applicare il principio del ‘car sharing’ alle postazioni di lavoro. In sostanza ci ha domandato di sviluppare un sistema che permetta di prenotare le scrivanie, gestendo così al meglio gli ‘open space’ a disposizione. Possiamo parlare di ‘desk sharing’: di sicuro un elemento nuovo in questa crisi”.