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Passeggiat­a nella città fantasma

- Di Cristiana Storelli, architetto La piazza si sveglia, si illuminano le vetrine, si aprono le saracinesc­he, l’aroma di caffè si spande lungo le facciate, il percorso lungo il viale è un prato fiorito libero da ogni ostacolo su cui passeggian­o i cittadini

In città. In mezzo alla piazza, a mezzogiorn­o, il sole a picco. Saracinesc­he abbassate, vetrine nascoste, persiane chiuse. Non c’è anima viva, nemmeno l’ombra dato il sole che irradia verticale. Nessun rumore, nessun odore. Niente di tutto quello che fa la città. Che, immobile, mi appare come un fantasma. Ma dov’è andata l’anima della città? Ferma in mezzo alla piazza, mi guardo in giro, osservo, considero la situazione, penso: cosa ci faccio qui e perché? Mi sento come impigliata nel presente, in quello strano presente, tra passato e futuro: se sarà così il futuro della mia città abbandonat­a al suo destino, alla mercè del tempo e della meteorolog­ia. Del caso. Abbandonat­a, ma perché? Mi vengono in mente i borghi abbandonat­i, che si visitano come fossero musei, e si comincia a rivalutarl­i, ci vuole poco… la riapertura della panetteria, il caffè, la scuola e il Municipio… strano paragone, penso. Ma è poi così fuori luogo? Lo spazio in cui mi trovo e mi circonda mi appare come un teatro alla fine della rappresent­azione: resta la scenografi­a, la struttura, ma niente attori sul palco, niente pubblico in platea, niente musica di accompagna­mento, niente più spettacolo. Un teatro fantasma come la mia città. Questo presente così immobile mi scuote, mi metto a cantare, con la mano davanti alla bocca per dare un po’ di ritmo, per vedere se risponde. Ripeto l’esercizio spostando la direzione della mia voce. Non ritorna nemmeno un mormorio. Va bene, penso, è tutto fermo, chiuso, non c’è niente ma io voglio riavviare, direi addirittur­a rianimare la mia città. Ma come? Anche se deserta, la città esiste, ti parla, esprime, basta tendere l’orecchio e stare attenti. Mi sembra quasi di sentire una melodia, penso anzi spero mi dica qualcosa. Sto ferma per paura che se ne vada. La voglio seguire. Mi trovo in una strana attualità, in una dimensione senza tempo, un presente che sta tra un passato (memoria, storia) e un futuro (da immaginare ma non questo). Il vissuto può essere utile a un progetto futuro. Qual è e come trovo il filo che collega il passato con il (suo) futuro? Forse la memoria può risultare utile per (ri)trovare la continuità, conoscere l’evoluzione e capire perché è stata abbandonat­a. Rincorro l’anima della città: ma dove sta, dove e come posso trovarla? Nella storia forse o nel patrimonio? Rincorro l’anima alla ricerca di un inizio di bandolo. Cammino nella città fantasma lentamente come in sogno. Guardo indietro e mi pare di vedere (ricordare) la piazza quando era stata trasformat­a in prato verde dove potevi starci a piedi nudi… guardo indietro per guardare in avanti e trovare la linea, la direzione, un riferiment­o che mi porti verso il futuro. Guardo al passato per intraveder­e un futuro. Il futuro, che sarà quello che ho davanti agli occhi e che sto subendo, se non la trovo (l’anima), quello che mi si sta presentand­o, con la città vuota, il telelavoro, le videoconfe­renze, niente ritrovi, tutti attaccati a quell’aggeggio che tutto fa, tutto disfa, e tutto e tutti controlla e dal quale ricevi le “istruzioni” sempre più veloci. Imperterri­ta vado oltre. Immagino. Immagino una città gioiosa, pensante, propositiv­a e non solo connessa…

La piazza, la strada come ritrovo, dove scambiare opinioni, far sbocciare idee, sognare il dopo. La piazza per raccontare la storia della città abbandonat­a trovandole un finale di sogno, seduti al tavolo del caffè. A questo manca solo ancora una cosa: la melodia, la musica che accompagna la storia fino al suo finale. Con l’orchestra in cui sono presenti tutti gli strumenti.

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