Il dito e la luna
Se qualcosa di positivo ci si fosse potuti aspettare da questa pandemia da Coronavirus, sarebbe stato forse dalla pausa imposta al nostro frenetico ritmo di vita. Una buona e unica occasione per riflettere sul nostro modello di «sviluppo». Ma i molti segnali che oggi ci giungono sembrano purtroppo disattendere questa speranza. Altro quindi che pensare a un eventuale cambiamento di rotta della nostra vita quotidiana! Quello che alla maggioranza oggi interessa, al di là di tutto, è quasi unicamente il bottegaio materiale efficientismo. Lunedì sera 25 maggio a “60 minuti” (ma Reto Ceschi non è ancora stanco?) il solito dibattito sul 5G. Tre ospiti in studio e uno in collegamento dall’esterno: due medici – piuttosto “critici” – e due tecnici (dei quali uno consigliere nazionale ma lì presente in veste di ingegnere) – soprattutto “positivi” – su questa tecnologia. Dal dibattito è emersa una situazione rimasta più o meno a prima della pandemia. Se non addirittura peggiorata. Alcuni starebbero addirittura approfittando di questa mondiale tragedia per fare ancora più affari con la digitalizzazione. Naturalmente, in mezzo a tutto ciò, lo sguardo di “60 minuti” era piuttosto rivolto al dito (il 5G) che alla luna (l’uomo). Non saprei dire se la trasmissione rispettasse la par condicio. Negli studi di Comano si percepiva comunque una forte presenza di silicio! Altro che igiene mentale… È mancato comunque completamente al dibattito l’apporto critico di tipo antropologico, psichiatrico/psicologico, sociologico e filosofico. Ma soprattutto è risultato latitante il contributo di una visione politica illuminata. Quella politica che nell’antica società i greci chiamavano polis. Certo, date le contingenze, si può ben capire: i «nostri» politicanti granconsiglieri si trovavano in quel momento tutti riuniti – per la prima volta dopo la pandemia – in straordinaria seduta notturna al Palazzo dei Congressi di Lugano. E come cantava la grande Mina: «Parole, parole, parole…». Orio Galli, Caslano