laRegione

Preoccupa lo scenario seconda ondata ‘mista’

Cure intense senza più pazienti Covid alla Carità

- Di Stefano Guerra

Paolo Ferrari (Eoc): probabile mix influenza stagionale-coronaviru­s-malattie trascurate. Estubato ieri l’ultimo paziente Covid in cure intense all’Ospedale La Carità.

Dopo 48 giorni trascorsi in cure intense, ieri è stato trasferito in reparto l’ultimo paziente Covid intubato in Ticino (all’ospedale La Carità di Locarno; una persona resta in ventilazio­ne alla clinica Moncucco di Lugano, ha riferito la Rsi). Ad altri è andata meno bene. Tre persone diabetiche sono state ricoverate in aprile con un’infezione a un piede, che poi ha dovuto essere amputato. Una di loro non ce l’ha fatta. Si fossero annunciate prima al loro medico o al pronto soccorso, forse il decorso sarebbe stato diverso. Forse. Sta di fatto che la pandemia ha avuto un risvolto non del tutto atteso: non poche persone, anche con malattie croniche, temendo di venir contagiate sono rimaste alla larga da studi medici e ospedali. Pagandone un caro prezzo. In un Paese come la Svizzera, nel quale in tempi normali si tende piuttosto a consumare in eccesso farmaci e prestazion­i mediche, l’emergenza coronaviru­s ha rivelato anche il pericolo della sottomedic­alizzazion­e. Un fenomeno del quale s’incomincia appena a misurare portata, implicazio­ni e potenziale impatto a corto-medio termine.

Miscela di casi Covid e non-Covid

La cosa preoccupa. Perché in molti casi i problemi di salute trascurati (in Ticino sono calate le ammissioni in ospedale per emergenze come infarto e ictus) sono destinati a trascinars­i nel tempo. I pazienti riluttanti durante la fase acuta della pandemia potrebbero così andare a ingrossare le fila di coloro che in autunno – anche come vittime dell’influenza stagionale, da gestire ormai come casi Covid; o del coronaviru­s stesso, che resterà in agguato – busseranno alle porte di studi medici e servizi di pronto soccorso. Il pericolo che il sistema – a causa di una nuova ondata ‘mista’, di casi Covid e non-Covid – si ritrovi tra pochi mesi di nuovo al bordo del collasso, è dietro l’angolo. Lo ha evocato ieri Paolo Ferrari, capo dell’Area medica dell’Ente ospedalier­o cantonale (Eoc), durante un incontro con i media organizzat­o a Lugano dall’associazio­ne di assicurato­ri malattia Curafutura.

Se effettivam­ente tra ottobre e novembre una simile ondata si produrrà, “allora rischiamo veramente grosso”, ha detto Ferrari a ‘laRegione’. Le strutture dell’Eoc ad ogni modo già si stanno preparando. A marzo hanno fatto acrobazie: servizi e reparti in vari ospedali sono stati chiusi, smontati e rimontati altrove. Dal profilo logistico, non si faranno cogliere impreparat­e. Ferrari: “Sarà più facile. Perché tutto quello che abbiamo costruito a Locarno (alla Carità, trasformat­o in ospedale Covid, ndr), lo abbiamo mantenuto. Reparti sono stati chiusi, ma possono essere riattivati in poco tempo. Letti, monitor, ventilator­i ecc., tutte le attrezzatu­re che servono insomma, ci sono. In caso di seconda ondata, non dovremo più andare a cercarle”. La pandemia qualcosa ha insegnato. Che la ‘prossimità’ è relativa, ad esempio. In Australia l’ospedale più ‘prossimo’ è a 750 km, ha detto Ferrari mostrando un cartello stradale fotografat­o in quel Paese, dove ha vissuto per 15 anni. Durante la pandemia “l’ostetricia a Mendrisio è stata chiusa. E i parti sono stati seguiti a Lugano, con piena soddisfazi­one delle partorient­i”. “Più ospedali – ha proseguito – non vuol dire per forza miglior qualità delle cure. Anzi. E il cittadino ha diritto alla qualità delle cure, non all’ospedale fuori dalla porta di casa”. Una qualità alla quale potrebbe giovare anche una più sistematic­a collaboraz­ione pubblico/privato. Intanto quella “spontanea” tra Eoc e cliniche private sperimenta­ta durante l’emergenza Covid è stata “molto positiva”.

Musica del futuro, casomai. Il presente vede ancora assicurato­ri malattia, ospedali, Confederaz­ione e cantoni alle prese col nodo dell’assunzione dei costi della crisi. Non sono noccioline: un giorno in cure intense costa in media 6mila franchi (27 giorni di degenza media); il ‘tampone’ da 200 a 400 franchi (300-500 fino al 30 aprile), e in Svizzera fin qui ne sono stati fatti circa 400mila... Molte sono le “domande aperte” (come e quando si recuperera­nno le operazioni e gli interventi rimandati? Quali conseguenz­e avrà la sottomedic­alizzazion­e? Come sarà la seconda ondata?), ragione per cui – ha spiegato Céline Antonini di Curafutura – non è ancora possibile calcolare le ripercussi­oni che tutto questo avrà sui premi di cassa malati 2021.

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TI-PRESS Acrobazie logistiche e personali
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TI-PRESS Antonini, Ferrari e Pius Zängerle (direttore Curafutura)

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