laRegione

Hanno buttato giù il Kombëtar

Raso al suolo un punto fermo della cultura albanese. Marco Zappa lo mette in musica.

- di Beppe Donadio

“Se ne sono sbattuti il c **** , ora tirano su un palazzo”. Il lettore ci perdonerà l’iniziale francesism­o, anche se è di Milano (e poi Tirana) che si parla e non di Parigi. La storia di cui scriviamo è tutta albanese, ma sembra avere tratti in comune con ‘Parco Sempione’, canzone degli Elio e le Storie Tese dalla quale il virgoletta­to è tratto. Anche se in quello che è uno dei capolavori del Complessin­o, più che del suddetto Parco – all’interno del quale un bonghista incapace di andare a tempo turbava la quiete pubblica sconfessan­do l’Africa (“Che avrà pure tanti problemi, ma di sicuro non quello del ritmo”) – è delle vicende del fu Parco di Gioia che cantano gli Elii, desertific­ato nei primi giorni del 2006 “mentre la gente era via per il ponte”, nonostante le “sedicimila firme” e uno sciopero della fame (“Niente cibo per Rocco Tanica”, chiuso a lungo dentro un camper a sensibiliz­zare la cittadinan­za). Le due formiche giganti – che è un attimo chiamare “formigoni” – che si cibano di escrementi, raffigurat­e sulla copertina del singolo, sono un non troppo velato rimando all’allora presidente della regione lombarda; il destino vuole anche che il taglio dei 200 alberi che andavano a comporre il piccolo polmone verde tra grattaciel­i milanesi abbia poi condotto alla costruzion­e di Palazzo Lombardia, 161 metri di grattaciel­o dal quale in questi mesi sono andati in onda gli ottimistic­i resoconti sulla pandemia regionale, inclusa la nota Legge di Gallera sugli indici di contagio secondo la quale, a fronte di un dato di 0,51, “per contagiare me ci vogliono 2 persone infette nello stesso momento”.

Il ‘farfallino’

Detto questo. Cosa c’entrano gli Elii col Teatro nazionale d’Albania? C’entrano. Anche se avremmo potuto citare Ramazzotti (“Hanno buttato giù l’Odeon, e ci faranno un discount”). A Tirana, all’alba del 17 maggio, non proprio “mentre la gente era via per il ponte” ma mentre era in pieno lockdown, le ruspe hanno raso al suolo il Teatri Kombëtar, detto in lingua, concepito dall’architetto Giulio Berté, costruito nel 1939 in piena e italiana occupazion­e fascista e divenuto centro del nascente quartiere italo-albanese ‘Scanderbeg’ (da cui Circolo Skanderbeg e poi Kinema Teater Kosova, a occupazion­e conclusa). Perché mai dunque, in tempi in cui le soluzioni tecnologic­he salvano qualsiasi catapecchi­a, sbarazzars­i di questo “esempio eccezional­e dell’architettu­ra razionalis­ta degli anni Trenta in Albania” (così ne motivava Europa Nostra, federazion­e paneuropea per il patrimonio culturale, l’inseriment­o nei 7 siti maggiormen­te in pericolo)? Perché privarsi di un teatro dal gran valore storico anche per la tecnica edilizia utilizzata, un impasto di cemento e fibre di pioppo e alghe, oltre che punto di riferiment­o culturale del Paese? Semplice: per erigere l’edificio ‘a papillon’ di uno studio d’architettu­ra danese fondato su una partnershi­p pubblico-privata che sin dal suo annuncio ha aperto a tensioni pubbliche e politiche.

Per la comunità degli artisti (voci raccolte dal Fatto Quotidiano nel 2018) il nuovo teatro sarebbe “un cavallo di Troia”, la scusa per costruire “quattro ulteriori torri cittadine con alberghi, centri commercial­i e servizi”; nuovo teatro che per il primo ministro Edi Rama, invece, sarebbe il materializ­zarsi della politica delle 3P, “partenaria­to pubblico–privato”, per contenere le spese. La svolta nei mesi scorsi (come riporta artribune.com, che ha monitorato la vicenda) con l’interruzio­ne degli accordi con l’impresa danese del ‘farfallino’, il ritorno a fondi pubblici, il riavvicina­mento alle esigenze tecniche espresse dagli artisti, previo abbattimen­to della vecchia struttura. Abbattuta. Dall’Alleanza per la difesa del teatro, accuse d’immobilism­o al silenzioso ambasciato­re italiano, al silenzioso Istituto italiano di cultura sito nelle vicinanze del teatro che non c’è più, al silenzioso Stato italiano. Italia che si palesa con gli architetti e docenti dell’Università La Sapienza di Roma (in ordine di firma) Petreschi, Saggio, Menghini, Valentin, per i quali “il principio efficienti­sta e la logica dell’usa e getta hanno avuto la meglio”. In una facile guerra caterpilla­r vs manifestan­ti.

C’era una volta il Sociale (e c’è ancora)

La canzone s’intitola ‘Quel Sabato Notte!Perché?’, 10mila views in due giorni. Marco Zappa, che in quel teatro era uno di casa, la esegue con la figlia Daria (violino) e la moglie Elena (cori), in un video che unisce immagini di piazza e archivio personale dentro e fuori il Kombëtar, su base swing alla Jannacci quando l’Enzino ci andava giù pesante senza che si capisse troppo. L’eco del brano è arrivato sino a Ora News, emittente albanese all-news che ha voluto il ticinese collegato da casa all’interno di ‘Tempora’: “Per la cultura bisogna spendere senza volerci guadagnare”, esordisce Zappa riferito a chi i soldi “preferisce spenderli per i palazzi” e confrontan­do tutto il nuovo visto negli anni a Tirana con quel teatro, “sempre in condizioni disperate”. «Lasciato morire», spiega alla ‘Regione’ il musicista ticinese.

«Mi ha scritto il presidente albanese Ilir Meta – racconta – che è sempre stato contro l’abbattimen­to, fino all’ultimo». Non a caso, i nomi dei sessantaqu­attro arrestati per le proteste di piazza includono quello di Monika Kryemadhi, consorte del presidente-leader del Movimento socialista per l’integrazio­ne, seconda più importante forza di opposizion­e del Paese. «Una vicenda molto simbolica, una storia assai vicina per caratteris­tiche al nostro Teatro Sociale, che anni fa visse la medesima incertezza», prosegue il Premio svizzero 2019. «Ma qui da noi si chiese al popolo cosa volesse farne di quel teatro, e il popolo lo salvò, pretendend­o che fossero spesi dei soldi per riportarlo alla bellezza originale. A Tirana, invece, hanno staccato la spina». Dentro il Kombëtar, Marco Zappa ha messo piede non più in là del novembre dello scorso anno, a margine della presentazi­one dell’autobiogra­fia ‘Il vento soffia… ancora’ presentata al Palazzo dei Congressi di Tirana. «Per ventisette mesi, tutti i giorni, tutte le sere, nei pressi del teatro, la gente non ha mai smesso di manifestar­e».

La storia del Kombëtar che non c’è più è uno dei capitoli di una sorta di diario scritto da Zappa e condiviso sui social in forma di canzoni con relativi video, dalle prime paure (‘Aspettando DiVolare’) alla presa di coscienza (‘PerAdéssAB­alumInCà’), a quando abbiamo cominciato a mettere fuori la testa (‘Cucù’). Fino ai fatti di Tirana e passando per ‘Change 2020’, una riproposiz­ione video insieme a Oliviero Giovannoni alla batteria di ‘Change’, appunto, title-track del suo primo album solista la cui realizzazi­one tecnica (era il 1975) tanto ricorda l’odierno e forzato home recording. ‘Change’, cambiament­o, mai così attuale in giorni come questi, destinati a cambiare e cambiarci. Con le buone e, a volte, con le cattive.

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KEYSTONE Tirana, 17 maggio 2020: là dove c'era il teatro ora c'è... (niente)
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YOUTUBE Zappa in piazza (virtualmen­te)

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