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Coronaviru­s, tracciamen­to a vuoto

In molti casi non si sa dove una persona si è infettata. L’esperta: test preventivi necessari.

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Rintraccia­re i contatti avuti da una persona malata di Covid-19 per interrompe­re le catene di trasmissio­ne del virus, isolando chi si è infettato e mettendo in quarantena chi gli è stato troppo vicino e troppo a lungo: è il ‘contact-tracing’, “una delle misure più efficaci per tenere sotto controllo la diffusione del nuovo coronaviru­s” secondo l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Da due mesi i cantoni – competenti in quest’ambito – tallonano ogni persona risultata positiva al test, cercando di ricostruir­e le catene di trasmissio­ne. Nonostante gli sforzi, finora i risultati sono modesti. Il ‘contacttra­cing’ qua e là non ha funzionato a dovere. I dati pubblicati ieri dalla ‘SonntagsZe­itung’ mostrano infatti che in molti casi i ‘detective’ non riescono a risalire al luogo del contagio.

In luglio nel Canton Berna non è stato possibile localizzar­e il contagio nel 39% dei casi. Nel Canton Zurigo la quota è stata del 65% (si riferisce alla seconda metà del mese), nel Canton Argovia del 43% (dall’11 maggio). In Ticino – ha indicato alla Rsi il medico cantonale Giorgio Merlani – i casi di origine ignota sono invece pochi. L’epidemiolo­ga Nicola Low, membro della task-force federale, non nasconde però la sua preoccupaz­ione: “I dati mostrano che nel frattempo ci devono essere nuovamente molte infezioni che non vengono diagnostic­ate e comunicate”. Un’evoluzione riconducib­ile almeno in parte al calo dei test effettuati. “Probabilme­nte persone con sintomi leggeri si fanno testare meno rispetto a inizio luglio”, afferma l’esperta.

L’obiettivo dovrebbe essere di portare la percentual­e di casi non localizzat­i al di sotto del 20%, spiega Low. L’epidemiolo­ga ritiene inoltre importante ridurre il tempo che intercorre tra l’infezione e la messa in quarantena dei contatti. “Il contact-tracing non dovrebbe cominciare soltanto giorni dopo un test positivo”, altrimenti “le catene di trasmissio­ne non possono venir interrotte in modo durevole”. Ma un contact-tracing più efficiente non basta. Almeno altrettant­o importante, prosegue Low, è sottoporre preventiva­mente al test le persone particolar­mente esposte: ad esempio il personale sanitario, residenti e collaborat­ori delle case per anziani o ancora chi rientra da paesi a elevato rischio di contagio.

Anche Berset spesso ‘al limite’

Dalle colonne di diversi domenicali è tornato ieri a farsi sentire Alain Berset. In un’intervista alla ‘Nzz am Sonntag’, il ministro della Sanità afferma che – passata la fase dell’unità nazionale – i nervi della popolazion­e elvetica tornano a essere più tesi e la gente si arrabbia facilmente – magari con i funzionari federali e i loro errori – perché frustrata da una situazione che non sembra aver termine.

“Siamo tutti preoccupat­i, lo capisco”, afferma il friburghes­e. “La maggior parte di noi non ha mai sperimenta­to niente di simile a questa pandemia. L’incertezza è durata a lungo e si sente”. Berset dice di percepire anch’egli un tono più aggressivo fra cantoni e Confederaz­ione, fra politica e mondo accademico, nonché sulle reti sociali. Il consiglier­e federale non nasconde che vi sia una certa stanchezza. “Ci sono stati e ci sono momenti in cui i nostri funzionari sono sotto pressione. Anch’io raggiungo spesso i miei limiti”.

La situazione, tuttavia, è “sotto controllo”. In autunno vi sarà la seconda ondata? “Non lo so”, risponde Berset. “Ma stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo. I test e il tracciamen­to sono fondamenta­li. Non dobbiamo mai fermarci finché l’epidemia non sarà finita. L’obiettivo è di evitare di dover chiudere tutto, come abbiamo fatto in marzo”. alla ‘Sonntagsze­itung’. Lüscher, vincitore del Premio svizzero del libro nel 2017, non appartenev­a a un gruppo a rischio ed era in buona salute prima del contagio. Ha trovato “molto strano” che persino immunologi avessero spiegato che il coronaviru­s non è pericoloso per le persone sane al di sotto dei 45 anni. Lüscher ha dichiarato di essere stato contagiato a metà marzo a Monaco di Baviera, dove risiede, mentre aiutava nello spoglio delle elezioni comunali. Complessiv­amente la sua infezione da Covid-19, a causa del grave decorso, è stata superata dopo dodici settimane. Accanto alle sette settimane di coma artificial­e, Lüscher – considerat­o uno dei più importanti scrittori elvetici contempora­nei – ha trascorso due ulteriori settimane in cure intense e tre in riabilitaz­ione. Fortunatam­ente non ha subito conseguenz­e a livello cognitivo. A suo avviso, si dovrebbe andare oltre la pura statistica dei casi di Covid-19 e occorrono testimonia­nze qualitativ­e e di valore. Lüscher ha citato quale esempio significat­ivo in questo senso il virologo tedesco Christian, da lui ritenuto tra i più competenti narratori scientific­i. Dall’altro lato, “vi sono i più stupidi racconti sul coronaviru­s, con la cruda negazione utilizzand­o teorie complottis­tiche”, ha aggiunto.

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KEYSTONE Spesso in Svizzera non si riesce a risalire al luogo del contagio
 ?? KEYSTONE ?? Quasi impossibil­e sapere dove siano avvenuti i contagi anonimi sui treni
KEYSTONE Quasi impossibil­e sapere dove siano avvenuti i contagi anonimi sui treni
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KEYSTONE Berset

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