laRegione

Lukashenko pronto a tutto

- Di Giuseppe D’Amato

Stiamo assistendo alla variante bielorussa del soffocamen­to di una protesta popolare. Aleksander Lukashenko ha riportato le lancette indietro di una ventina d’anni, spegnendo internet e bloccando i social media. Le television­i sono in mano sua. Gli basta fermare i giornalist­i, testimoni scomodi, per conservare la conduzione della narrativa degli eventi. L’irritazion­e di Marija Zakharova è emblematic­a. Vi è stato, ha denunciato la portavoce del Ministero degli esteri russo, un “uso non proporzion­ato” della forza. Reporter di media vicini al Cremlino o alle opposizion­i federali, a Minsk, sono stati malmenati, fermati senza troppi compliment­i, bloccati alle stazioni di polizia nonostante avessero richiesto, come da prassi, i permessi di accredito.

Lukashenko, insomma, non guarda in faccia nessuno – nemmeno i “fratelli” russi – in questa sua personale battaglia per la sopravvive­nza. E per la comunità internazio­nale questo è un grattacapo. La visita del ministro degli Esteri tedesco Maas a Mosca non è casuale: si vogliono evitare i tragici errori, commessi nella primavera 2014, durante la crisi ucraina, le cui conseguenz­e sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti.

Non conviene ad alcun attore, ora, uno scontro tra i due Poli continenta­li, già alle prese con la pandemia e il rallentame­nto economico. Malgrado le aperture degli ultimi anni, gli occidental­i hanno capito che il presidente bielorusso persiste a colpire i dissenzien­ti. Per i russi Lukashenko sta diventando ingombrant­e. E poi, ci si domanda, come ha potuto stringere la mano a Putin senza averlo avvertito prima di avere avuto il Covid? Certe scortesie a quei livelli mettono fine all’empatia di decenni. Lukashenko al potere a Minsk è stato a lungo la soluzione per mantenere lo status quo geopolitic­o. Il presidente bielorusso, al momento, intende continuare ad esserlo. Ma i tempi cambiano e ora tocca fare i conti con il volere del popolo.

Quella di domenica è stata una consultazi­one scontata: un imbroglio in cui chi è più prepotente vince. Addirittur­a sono stati bloccati i seggi dall’interno con elettori impossibil­itati a votare nelle strade.

Da quanto si osserva in queste ore tesissime le città hanno scelto in massa il cambiament­o, le province forse no. Gli statali e i militari sono in parte rimasti fedeli a Lukashenko, che potrà sopravvive­re al potere solo con l’aiuto degli apparati di sicurezza. Sempre che questi ultimi non si rendano conto che non siamo più nel 2010 – quando vi fu una crisi simile · o nella Belgrado del 2000, e che non buttino gli scudi e scappino via. La protesta popolare, sotto le più diverse forme, è destinata a durare. Ma fondamenta­le sarà il numero delle fabbriche che parteciper­anno allo sciopero generale per giungere alla paralisi dell’economia. Un’ultima consideraz­ione. Sulla base dell’esperienza bielorussa è bene comprender­e che modifiche costituzio­nali – non bilanciate – sono pericolose. Nei sistemi presidenzi­ali il vincolo dei due mandati non può essere soppresso a cuor leggero. Altro che sei mandati consecutiv­i come il recordman europeo, Aleksander Lukashenko.

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