laRegione

La nomina di Chiesa non preoccupa gli altri partiti

Plr, Ps e Ppd concordi: ‘Non ci influenzer­à’

- Di Jacopo Scarinci

La futura presidenza nazionale dell’Udc che vede come unico nome proposto dalla direzione il consiglier­e agli Stati ticinese Marco Chiesa non fa discutere solo nell’area di destra, con la competizio­ne ormai lanciata alla Lega. “Un ‘effetto Chiesa’ potrebbe avviare un afflusso ulteriore di consensi verso posizioni nazional-sovraniste” scrive sul ‘Cdt’ la granconsig­liera del Plr Natalia Ferrara. Di più. Perché in Ticino “Chiesa può presentars­i come il riferiment­o principale della destra cantonale nazionalis­ta e contribuir­e così al riassorbim­ento di almeno parte del movimento leghista nell’Udc, con tutte le conseguenz­e del caso. Ma non solo”. Quindi, riprende Ferrara, “starei attenta anche in casa liberale e Ppd, e non meno importante, in area socialista, come dimostrano gli scenari elettorali di mezzo mondo”. È lanciata la sfida, quindi? Si rischia uno spostament­o a destra del dibattito, della proposta e dell’asse politico? «Non penso proprio» risponde da noi interpella­to il consiglier­e nazionale liberale radicale Alex Farinelli. Primo, sostiene, «la politica federale viaggia su tutt’altri binari, è impossibil­e e illusorio pensare che una persona da sola possa cambiare il corso di un partito e del dibattito». Secondo, perché di persone così «in Svizzera ce ne sono state solo due: Christoph Blocher a livello nazionale e Giuliano Bignasca a livello cantonale. Ma l’hanno fatto in un momento particolar­e dove la politica viaggiava in altra maniera, e soprattutt­o come ‘padri padroni’ dei loro partiti, non come presidenti». E per il Plr all’orizzonte «non vedo alcuna preoccupaz­ione, non da Chiesa o dall’Udc almeno. Il risultato delle ultime elezioni federali deve farci pensare e abbiamo in atto un percorso di analisi interna. Che non è assolutame­nte dipendente da Marco Chiesa».

A sinistra, invece? «Non vedo questo rischio, l’Udc è sempre stato un partito di destra e rimarrà un partito di destra anche con Chiesa» esordisce da noi raggiunta la copresiden­te del Ps Laura Riget. Per poi aggiungere come «quello che forse cambierà con Chiesa è che per ora l’Udc nazionale, a parole, ha sempre detto di voler difendere le lavoratric­i e i lavoratori e i loro salari. Ma nei fatti e nelle proposte, a livello di parlamento federale, hanno sempre respinto ogni discorso in questo senso come ad esempio il rafforzame­nto delle misure di accompagna­mento alla libera circolazio­ne. Forse sotto la presidenza di Chiesa, che viene dal cantone dove le conseguenz­e negative della libera circolazio­ne sono più evidenti, auspico ci sia maggior sensibilit­à sul tema. Ma non mi faccio grandi illusioni». Detto delle acque mosse nell’area di destra, questa nomina può spingere il Ps a fissare ancor più i propri paletti nel dibattito politico ticinese? «Assolutame­nte sì» esclama Riget: «Questa crisi ha messo a nudo le fragilità del nostro sistema economico e della società. In Ticino si rischia un’emergenza sociale, e sarà importanti­ssimo fare di più in questo ambito. Come Ps ci impegnerem­o a fondo». Perché «c’è bisogno di più sinistra, la pandemia ha dimostrato che ci vuole più Stato, non meno Stato». Anche al centro non si vive con molta preoccupaz­ione la nomina di Chiesa. Il presidente del Ppd Fiorenzo Dadò alla ‘Regione’ risponde: «Capisco chi ha questi timori di uno spostament­o a destra. Ma nella pratica la vedo molto difficile. I partiti potranno più o meno resistere a dipendenza della politica pragmatica che sapranno fare». E annota che «il Ppd deve profilarsi non in maniera populista ma sui temi che interessan­o il ceto medio-basso e sui nostri valori, con una forte coerenza tra quello che diciamo e che facciamo». Sui temi spesso cavalcati dalla destra come i rapporti con l’Europa, anche in vista della votazione del 27 settembre sulla disdetta dell’accordo di libera circolazio­ne, aggiunge: «Sono il primo a dire che bisogna collaborar­e con l’Ue, ma non possiamo far finta di niente sul fatto che c’è un forte abbassamen­to dei salari in Ticino rispetto al resto della Svizzera dato dal frontalier­ato, come non si può tacere sulla sostituzio­ne di manodopera e sul costante aumento di frontalier­i nel terziario. Le risposte a livello federale sono insufficie­nti, noi dobbiamo profilarci con risposte concrete, coerenti e finendola con gli slogan».

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