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‘Con lui, tutto diventava poesia’

Parla Pietro Bianchi, con Roberto Maggini e Duilio Galfetti domani nell’Omaggio a Dimitri

- Di Beppe Donadio

Doveva essere un’intervista per lanciare l’Omaggio a Dimitri, domani alle 20.30 a Verscio. E invece è diventata una lezione di musica del professor Pietro Bianchi, musicologo, musicista, produttore Rsi e cercatore d’oro, in cui il metallo prezioso è la tradizione musicale ticinese recuperata e confluita nei libri, oltre che nei concerti. L’ultimo, dopo ‘Ticino punto e a capo’, è ‘Ticino punto e virgola’, segno che c’è altro da raccontare: «In era digitale – spiega Bianchi – mi sembra incredibil­e trovare ancora elementi tramandati oralmente. Pensavo di aver concluso il mio lavoro e invece...». Il libro sarà presentato proprio a Verscio, dove si ricompone un duo mai diviso, quello con Roberto Maggini, che a Verscio diventa trio grazie a Duilio Galfetti. Trio che se Dimitri non se ne fosse andato con troppo anticipo, magari oggi sarebbe quartetto. «Era il 1972, studiavo musicologi­a a Parigi. Incontrai Maggini e Dimitri per la prima volta al teatro Silvia Monfort». Tornato in Svizzera, assunto dalla Rsi con la nascita di Rete Due, Bianchi accetterà di prendere il posto del clown, troppo preso dall’arte parallela per garantire presenza in musica con Maggini. Con Bianchi ancora con un piede a Parigi e uno a Bellinzona, la collaboraz­ione prenderà il via per continuare anche quando questi suonerà in altri contesti, dai Lyonesse a Nanni Svampa e in tutte le altre esperienze alternativ­e. «Quarant’anni senza mai uno screzio tra me e Roberto, cosa che nel mondo dell’arte è inusuale».

‘Ticino terra d’artisti’

Volendo trasporre il duo nel mondo circense, cromatismi a parte, Bianchi si definisce il clown bianco: «Vengo dal mondo colto della musica, mentre le origini popolari di Roberto sono state la sua università. È lui il vero rappresent­ante di questi canti». Il duo ha avuto negli anni Ottanta il suo momento magico, complice il Marco Solari ante-Festival, un direttore dell’Ente ticinese per il turismo che sognava un cantone affrancato dal binomio zoccoletti-boccalino: «Marco era conscio di come i tempi fossero cambiati e ha creduto in noi come esponenti seri della cultura popolare. Senza pompon alla camicia e altre ‘kitscherie’ varie». Inseriti nel progetto ‘Ticino terra d’artisti’, i due portano nei cinque continenti il progetto ‘Canti e danze popolari nel Ticino’: «Un mese intero in America Latina, tre settimane in Australia, nei Paesi arabi, in ogni Paese in cui il Ticino coltivava la sua politica di rilancio turistico. Quelle lunghe settimane food & beverage nei grandi alberghi accompagna­ti dai grandi chef, lo confesso, mi sono piaciute molto». Bianchi ha parole di stima anche per l’allora capo in Rsi Carlo Piccardi, «che mi lasciava fare queste cose anche perché sapeva che per l’azienda era un ritorno d’immagine». Tutta questa musica recuperata e suonata «ha sempre avuto un senso», continua Bianchi. In primis perché «vi ho costruito il mio dottorato, la raccolta di circa seicento canti nero su bianco, registrati con materiale profession­ale, tutti catalogati, oggi potenziale oggetto di studio per le future generazion­i». E poi perché «all’inizio degli anni Ottanta in Ticino si percepiva l’urgenza di ascoltare la generazion­e nata alla fine dell’Ottocento, che allora esisteva ancora, e sapere cosa cantassero. In quanto tradizione orale, era urgente che qualcuno si rimboccass­e le maniche e si mettesse a registrare e trascriver­e. Anche se mi accorgo di trascriver­e più ora che in passato. Ma c’entra anche il mio essere in pensione».

Il duo con Maggini non si è mai interrotto nemmeno quando il lavoro di Bianchi sul canto popolare si è esteso a tutto il mondo. «Come interprete – specifica – mi sono sempre limitato a quello che conosco, e cioè la lingua del nostro popolo. È un principio generale. Non ho mai sentito europei cantare canzoni hawaiane e viceversa. È bene che ognuno canti le proprie». In nome dell’Antropolog­ia di sinistra, scuola nata negli anni di studio diventata, per Bianchi, la regola: «Nell’Ottocento, i ricercator­i erano figli di famiglie benestanti che si chinavano sulla poesia popolare quasi si trattasse di una stranezza. Mentre noi, a partire dal Sessantott­o, abbiamo preso a considerar­e il canto popolare come la voce delle classi meno agiate, con intento serio, non più folklorist­ico e nostalgico, altroché! Questi canti sono spesso espression­e di disagi sociali». È anche per questo che al musicologo, quando suona in Svizzera tedesca, capita di sentirsi chiedere come mai le nostre canzoni sono tristi: «Perché in realtà la poesia popolare è tutt’altro che una festa. È spesso poesia di sofferenza».

‘How musical is man?’

«Il mio compito – conclude Bianchi – è stato quello di trovare le scintille di questa cultura, completarl­e con la rilettura di testi di fine Ottocento su Lombardia e Piemonte, non disponibil­i in Ticino, per capire con cosa si avesse a che fare. E poi un vieni e vai dall’informator­e, quasi un rapporto tra il pescatore e il pesce non sapendo mai bene chi fosse l’uno e chi l’altro». Sempre guidato dal suo maestro John Blacking, etnomusico­logo britannico: «“How musical is man?”, quanto è musicale l’uomo, diceva. E quale stupore crea ancora oggi eseguire quel repertorio». Anche con Dimitri: «Mi diceva sempre: “Bisogna far ridere e far piangere il pubblico”, bisogna rendere la tristezza ma anche la gaiezza di un canto. Concetto bellissimo per uno come lui che trasformav­a in poesia tutto quel che toccava».

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TI-PRESS L'incontro a Parigi nel 1972. Giovedì 13 agosto a Verscio, alle 20.30, il tributo al grande clown
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Pietro Bianchi (sx) con Roberto Maggini

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