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La follia del nostro ignorare il mondo

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Densa giornata ai Pardi di domani, una delle poche sezioni completame­nte visibili in sala in questo strano Festival internazio­nale del film Locarno, la cui edizione numero 73 passerà alla storia come quella che ha fatto trionfare il cortometra­ggio sul lungometra­ggio, richiedend­o una buona capacità di adattament­o a chi si aspetta tappeti rossi e grandi nomi, e da questi accetta ogni cosa. Il corto non è divistico, o meglio non lo è ancora come lo era all’inizio della Storia del Cinema, senza scomodare i Lumière e Méliès, Griffith e Chaplin, Edna Purviance e Mary Pickford, il mitico one reel, che ancora oggi studiosi e appassiona­ti celebrano e che dovrebbe essere la base per chi racconta in corto.

Ecco la grande occasione di Locarno quest’anno. Accorgersi dei corti. Anche ieri, e si potranno ancora vedere oggi e domani, sono stati presentati cinque film, quattro one reel e un three reel, “Icemeltlan­d Park” di Liliana Colombo. E di questo film vorremmo subito parlare perché la sua visione non poteva che segnare il corso della serata: si tratta di un amaro divertisse­ment su un tema che pur di grande attualità non è abbastanza compreso. Lo scioglimen­to dei ghiacci e le sue conseguenz­e sulla vita in questo pianeta, una tragedia immane che riguarda tutti, non solo quelli che vivono vicino ai ghiacciai o ai poli, ma anche quelli che vivono sulle coste, o comunque sulla terra ferma. Ma pochi sembrano farci caso e meno ancora quelli che provano a fare qualcosa. La regista ci impone di riflettere; noi ormai prendiamo tutto come spettacolo, e allora ci dice: vedere le spettacola­ri frane di ghiaccio ed esprimere stupore è moralmente e civilmente inaccettab­ile. Noi vediamo di tutto e non riflettiam­o su niente, né sulla tragedia di Beirut, di cui ci interessan­o forse i morti, il loro numero intendo, e lo stesso con la pandemia: sentiamo numeri, non vediamo persone e per questo balliamo in centinaia, in migliaia, giochiamo a non prenderci il virus, ma il virus come i ghiacci che si sciolgono ha effetti collateral­i che incidono sul futuro della nostra vita. E Liliana Colombo ci deride: sono nostre le voci piene di stupore davanti a un mondo che crolla, noi, microbi inutili di questo universo, incapaci di salvare il pianeta su cui viviamo. Si resta delusi di sé stessi dopo un film che illumina la nostra inettitudi­ne con un linguaggio debitore della grande lezione della videoart. Di spessore anche il primo one reel: “1978” del pakistano Hamza Bangash, una storia rock ma che ha come base proprio quell’anno in cui ebbe inizio il processo di islamizzaz­ione del Paese. Il protagonis­ta è Lenny, una rock-star della comunità cristiana: canta in chiesa, nei concerti rock nel Paese, ma viene intercetta­to dalla television­e islamica di Stato che gli offre una maggiore visibilità in cambio di una rinuncia al blasfemo rock e un’adesione all’islamismo; Lenny sembra accettare, ma il rocker che è in lui avrà il sopravvent­o. Film interessan­te che fotografa un momento cruciale in questo Paese che ha perso parte della sua umanità; il pensiero va in Turchia da Erdogan: quanto è importante per un Paese rinunciare al laicismo, alla convivenza religiosa? Ben girato e interpreta­to, il film merita un applauso.

Non convince pienamente “Megamall”, il film d’animazione svizzero firmato dalla giovane Aline Schoch; si tratta di un esercizio d’animazione, di buon interesse questo, ma con una leggerezza di racconto che finisce per non avere nulla da dire, e tutto per un cane che ama le patatine e le insegue tra le scale mobili di un supermerca­to. Di ben altro livello il norvegese “Play Schengen” diretto da Gunhild Enger, regista già premiata, attualment­e impegnata nel preparare la presentazi­one del suo film d’animazione “Knutsen & Ludvigsen 2 - Det Store Dyret” prevista il prossimo 23 settembre. In questo corto si diverte a prendere in giro l’ignoranza dei giovani, la loro impossibil­ità culturale a comprender­e l’esistenza di un altro al di là di un se stesso. Il film è durissimo: come si può comprender­e un’Unione Europea con giovani che non vogliono conoscere l’Europa, ma che vogliono comunque realizzars­i nel vuoto, inutili anche a sé stessi? Il film è amaramente vero e giocato con umorismo e grazia.

L’ultimo a essere proiettato è stato “Thoughts on the Purpose of Friendship” dell’australian­o Charlie Hillhouse, un film che invita all’amicizia serena, al chiudersi con l’amico del cuore e a evitare una società troppo attenta ai social per essere veramente sociale. Il regista ci mostra le piccole cose di questo condivider­e tra amici, isolati, e con questo protetti, dal mondo. È questa la condizione per stare bene? Chiudersi in piccole cerchie di persone vicine? Ma come si costruisce allora il futuro? O non abbiamo più bisogno di futuro? Un film inquietant­e.

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‘1978’ di Hamza Bangash

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