Contrapposizione pubblico-privato tra ideologia e retaggio di povertà
Mentalità statalista, atavica diffidenza verso l’imprenditoria e paura della modernità dominano troppo spesso il dibattito politico in Ticino
Da una parte c’è il «pubblico», votato alla redistribuzione, al bene comune, all’attenuazione delle famigerate diseguaglianze. Dall’altra c’è il «privato», votato a favorire gli interessi di pochi e alla massimizzazione dei guadagni. Questa narrativa ideologica, distorta e fuorviante, ha trovato nel nostro Cantone un terreno fertile e continua ad essere riproposta. Che si tratti di scuola, di ospedali, di media, torna regolarmente a riproporre uno schema elementare buoni-cattivi e, spesso, a determinare i risultati in votazione popolare. Così si boccia la libera scelta delle famiglie su dove mandare i figli a scuola, agitando lo spauracchio di uno smantellamento della “pubblica educazione” (concetto di per sé molto eloquente). O si dice “altolà” alla collaborazione fra ospedali pubblici e cliniche private, a dispetto delle positive esperienze che dimostrano che questa è la via migliore per tutti. O si dimentica che la libertà e il pluralismo dei media, fondamento della democrazia, sono nati e si sono sviluppati grazie ai giornali “privati”, quando di «service public» non si parlava neppure.
Colpa della sinistra, statalista per vocazione? Ma la sinistra non è maggioritaria, nel nostro panorama politico. La prevalenza di questa narrativa è piuttosto legata a due altri fattori. Uno di tipo storico: Paese con un passato rurale di povertà, transitato rapidamente verso il terziario avanzato senza la fondamentale fase dell’industrializzazione (che ha portato la modernità in altre regioni ad opera di una imprenditoria dinamica e pronta a correre dei rischi), il Ticino ha conservato l’atavica mentalità dipendente («più incline a preoccuparsi dei centesimi che dei franchi», come diceva acutamente un industriale confederato). L’altro fattore è di natura pratica: sono i benefici che il pubblico porta ad una politica fondata sulla occupazione dell’amministrazione e sullo Stato protettore e innaffiatore, anche e soprattutto in economia.
Non succede solo da noi e non è sempre negativo. Ad esempio quando pubblico e privato si fanno una concorrenza intelligente, basata sulla qualità, i risultati possono essere interessanti. Meno positiva, guardando le cose da vicino e senza occhiali deformanti, è la commistione privato-pubblico che pretende di perseguire la razionalità e redditività del primo, conservando nel contempo le logiche politiche spartitorie del secondo. Eppure l’esperienza insegna che proprio la dialettica fra l’uno e l’altro rappresenta la miglior premessa di un’offerta qualitativa di prestazioni ai cittadini, nel segno della loro libera scelta. Viene allora il dubbio che l’ossessiva riproposta della narrativa pubblico-buono contro privato-cattivo serva soprattutto a nascondere la realtà e a imporre degli stereotipi vecchi ma sempre efficaci. Non per il tanto proclamato «bene comune», ma per il bene di chi ha interesse a che nulla cambi, in questo sistema tanto confortevole per alcuni. * opinionista