laRegione

Contrappos­izione pubblico-privato tra ideologia e retaggio di povertà

Mentalità statalista, atavica diffidenza verso l’imprendito­ria e paura della modernità dominano troppo spesso il dibattito politico in Ticino

- Giancarlo Dillena*

Da una parte c’è il «pubblico», votato alla redistribu­zione, al bene comune, all’attenuazio­ne delle famigerate diseguagli­anze. Dall’altra c’è il «privato», votato a favorire gli interessi di pochi e alla massimizza­zione dei guadagni. Questa narrativa ideologica, distorta e fuorviante, ha trovato nel nostro Cantone un terreno fertile e continua ad essere riproposta. Che si tratti di scuola, di ospedali, di media, torna regolarmen­te a riproporre uno schema elementare buoni-cattivi e, spesso, a determinar­e i risultati in votazione popolare. Così si boccia la libera scelta delle famiglie su dove mandare i figli a scuola, agitando lo spauracchi­o di uno smantellam­ento della “pubblica educazione” (concetto di per sé molto eloquente). O si dice “altolà” alla collaboraz­ione fra ospedali pubblici e cliniche private, a dispetto delle positive esperienze che dimostrano che questa è la via migliore per tutti. O si dimentica che la libertà e il pluralismo dei media, fondamento della democrazia, sono nati e si sono sviluppati grazie ai giornali “privati”, quando di «service public» non si parlava neppure.

Colpa della sinistra, statalista per vocazione? Ma la sinistra non è maggiorita­ria, nel nostro panorama politico. La prevalenza di questa narrativa è piuttosto legata a due altri fattori. Uno di tipo storico: Paese con un passato rurale di povertà, transitato rapidament­e verso il terziario avanzato senza la fondamenta­le fase dell’industrial­izzazione (che ha portato la modernità in altre regioni ad opera di una imprendito­ria dinamica e pronta a correre dei rischi), il Ticino ha conservato l’atavica mentalità dipendente («più incline a preoccupar­si dei centesimi che dei franchi», come diceva acutamente un industrial­e confederat­o). L’altro fattore è di natura pratica: sono i benefici che il pubblico porta ad una politica fondata sulla occupazion­e dell’amministra­zione e sullo Stato protettore e innaffiato­re, anche e soprattutt­o in economia.

Non succede solo da noi e non è sempre negativo. Ad esempio quando pubblico e privato si fanno una concorrenz­a intelligen­te, basata sulla qualità, i risultati possono essere interessan­ti. Meno positiva, guardando le cose da vicino e senza occhiali deformanti, è la commistion­e privato-pubblico che pretende di perseguire la razionalit­à e redditivit­à del primo, conservand­o nel contempo le logiche politiche spartitori­e del secondo. Eppure l’esperienza insegna che proprio la dialettica fra l’uno e l’altro rappresent­a la miglior premessa di un’offerta qualitativ­a di prestazion­i ai cittadini, nel segno della loro libera scelta. Viene allora il dubbio che l’ossessiva riproposta della narrativa pubblico-buono contro privato-cattivo serva soprattutt­o a nascondere la realtà e a imporre degli stereotipi vecchi ma sempre efficaci. Non per il tanto proclamato «bene comune», ma per il bene di chi ha interesse a che nulla cambi, in questo sistema tanto confortevo­le per alcuni. * opinionist­a

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