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Adescava sui social Recidivo condannato

Atti sessuali con adolescent­i: trattament­o psichiatri­co stazionari­o per un 27enne

- Di Dino Stevanovic

«La precedente condanna non ha raggiunto lo scopo e dimostra che il trattament­o ambulatori­ale non è sufficient­e, malgrado ora ci siano segnali incoraggia­nti. Necessita di un trattament­o stazionari­o, così come proposto dalla perizia psichiatri­ca». Condannato a quattro anni di carcere, un 27enne accusato di atti sessuali con fanciulli sconterà la propria pena non in prigione come sinora, ma in un’istituzion­e psichiatri­ca apposita. Determinan­te la perizia psichiatri­ca, che ha evidenziat­o un disturbo narcisisti­co con tratti istrionici, un’efebofilia e un’olfattofil­ia. E soprattutt­o un rischio importante di recidiva se non curato.

La Corte delle Assise criminali presieduta da Amos Pagnamenta ha rilevato infatti una «colpa oggettivam­ente grave, per il numero di vittime e di episodi. Grave soprattutt­o dal profilo soggettivo: l’imputato ha dato prova di estremo egoismo per soddisfare i propri bisogni. Sapeva inoltre di compiere atti illegali perché nel 2015 è stato condannato (a tre anni e quattro mesi, ndr) per reati simili. E proprio il precedente pesa su di lui: non solo ha tradito la fiducia delle autorità (che nel gennaio del 2017 gli ha concesso la libertà condiziona­ta, ndr), ma ha dimostrato di non aver tratto insegnamen­ti». Il giudizio è stato meno pesante dei cinque anni chiesti dal procurator­e pubblico Arturo Garzoni in virtù della collaboraz­ione fornita, delle ammissioni – il 27enne è sostanzial­mente reo confesso –, dell’età delle vittime (non bambini ma ragazzi dai 15 anni in su) e dalle circostanz­e in cui sono avvenuti gli episodi, ha detto il giudice riferendos­i alla ricerca di un tornaconto economico da parte dei giovani.

«Il lupo perde il pelo ma non il vizio». Non è stata lunga la requisitor­ia di Garzoni: come ammesso sia da lui, sia dal difensore del 27enne – uno svizzero residente nel Luganese – Niccolò Giovanetti­na, per molti versi si è trattato di un’inchiesta fotocopia rispetto a quella del 2015. Tuttavia, sia secondo l’accusa sia per la difesa delle differenze ci sarebbero. «Non è più un teenager, un twink come le sue vittime – ha detto il pp –, ma è diventato un predatore sessuale, astuto, che ha fatto un salto di qualità, che è anche entrato in contatto con personaggi pericolosi e poco raccomanda­bili del mondo dello spaccio della droga. Se non fosse stato fermato avrebbe continuato a delinquere».

I nickname anonimizza­ti di Snapchat

In questa «triste storia già vista» Garzoni ha messo l’accento anche sull’aspetto tecnologic­o dell’inchiesta: «Ha agito con lo stesso modus operandi, adattandos­i alle tecnologie nel frattempo uscite, passando da Facebook a Snapchat». Social, questo, utilizzato per non lasciare messaggi compromett­enti e che ha reso l’inchiesta più laboriosa, a causa dei nickname anonimizza­ti, rendendo necessaria una rogatoria negli Stati Uniti, che ha restituito i contatti dell’imputato sull’app ma non i contenuti delle chat. A riempire quelle righe ci hanno pensato i ragazzi stessi e poi il 27enne, che anche a detta dell’accusa ha fornito una buona collaboraz­ione. Agli adolescent­i l’accusato si presentava in maniera simpatica, «adattandos­i al loro linguaggio e alla loro età», spacciando­si come ricco, alla guida di auto di lusso e pieno di denaro, quando la sua realtà era fatta di poco lavoro e debiti. Soldi promessi alle giovani vittime, che alcuni hanno accettato «prostituen­dosi senza vergogna», ha detto Garzoni, sottolinea­ndo che di soldi poi ne abbiano effettivam­ente visti ben pochi. «Se accettavan­o, li passava a prendere con l’Audi coi vetri oscurati e si appartavan­o in un posto riparato».

Essendo l’imputato sostanzial­mente reo confesso, l’unico reato contestato riguardo dei toccamenti notturni a danno di un paio di ragazzi coi quali il 27enne avrebbe fatto amicizia durante l’estate 2019 e di cui avrebbe approfitta­to mentre dormivano. «Non si sa controllar­e, gli scappa la mano» la tesi di Garzoni. «È un reato che presuppone l’aggirament­o della volontà delle vittime, che lui ha tuttavia sempre rispettato, essendosi sempre fermato quando gli dicevano ‘basta’ – per Giovanetti­na, invece –, non c'è motivo di non credergli». «L’imputato è apparso credibile, a differenza delle poco lineari dichiarazi­oni dei due ragazzi – secondo la Corte, che l’ha prosciolto da quest’imputazion­e –, che si conoscono ed è emerso che si sono parlati fra loro. Un motivo di vendetta potrebbe essere il mancato pagamento delle cifre promesse».

«Le similitudi­ni rispetto al processo del 2015 sono evidenti e un po’ inquietant­i – ha poi confermato Giovanetti­na –. Ma, c’è lupo e lupo. Ha fatto tutto questo, oltre che per un problema riconosciu­to, anche per le sue fragilità dovute a una vita estremamen­te difficile». Secondo il difensore, l’uomo sarebbe riuscito a controllar­e i propri impulsi una volta scarcerato per un certo periodo, ma l’essere diventato nel 2018 consumator­e di cocaina avrebbe contribuit­o a riattivare il suo problema. L’avvocato ha altresì criticato la perizia psichiatri­ca del 2015, evidenzian­do invece i benefici del percorso terapeutic­o intrapreso ora, invitando la Corte a giudicare l’assistito «con severità, dato che la sua colpa non è lieve, ma anche riconoscen­do i suoi cambiament­i e uno spaccato di gioventù bruciata: quella dell’imputata, ma anche dei ragazzi dal consenso troppo facile e con valori legati a magliette e scarpe firmate».

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KEYSTONE Molte vittime sono state contattate su Snapchat, app che permette di chattare anonimamen­te

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