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‘In quella casa si è superato il limite’

Chieste pene dai 16 mesi alle aliquote. La difesa si batte per il prosciogli­mento.

- Di Giacomo Rizza

Sedici mesi di carcere per il direttore, undici per l’educatore, otto per l’infermiera e 120 aliquote giornalier­e per l’altro dirigente. Queste le richieste di pena (in tutti i quattro i casi sospesa con la condiziona­le per due anni) formulate dalla procuratri­ce pubblica Chiara Borelli nei confronti degli ex dipendenti del centro educativo per minorenni del Sopracener­i, da giovedì alla sbarra di fronte alla Corte delle Assise correziona­li presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchett­i. Le accuse sono quelle di abbandono, ripetuta coazione e lesioni semplici. Reati che secondo la magistratu­ra ticinese hanno perpetrato, con responsabi­lità individual­i differenti, dal 2012 al 2017 nell’ambito della presa a carico di adolescent­i presso la struttura chiusa dal Cantone nel 2018.

«Il rifiuto ai medicament­i gli è stato instillato, goccia dopo goccia. La sua diagnosi era schizofren­ia, malattia che comporta dissociazi­one del pensiero e perdità di cognizione con la realtà. Ciò che gli impediva di far fronte ai suoi bisogni. Da qui la necessità di assistenza, di un tutore che decidesse per lui». Nella sua requisitor­ia, Borelli è partita da quello che giudica il «punto focale dell’atto d’accusa», ovvero il reato di abbandono per avere deciso di interrompe­re la somministr­azione di medicament­i a un giovane con problemi psichiatri­ci. Ciò che secondo l’accusa avrebbe comportato il ricovero coatto del ragazzo a causa di uno scompenso psicotico acuto. «Non si parla di paracetamo­lo, ma di psicofarma­ci a fronte di una malattia molto grave». Grave, per la pp, la colpa degli imputati, in particolar­e quella dell’ex direttore della struttura, dipinto come colui che nel corso degli anni avrebbe dato inizio ai castighi straordina­ri (spaccare pezzi di asfalto, trasportar­e sacchi di sabbia e passare del tempo in cantina) al centro dell’accusa di ripetuta coazione. «Oggi non siamo in aula penale perché i giovani dovevano lavare i piatti, portare brocche d’acqua o svolgere altri lavoretti insieme agli educatori. Siamo qui perché il limite è stato sorpassato». A tal proposito gli imputati hanno ribadito che era un agire educativo, per mettere in chiaro dove stavano i limiti quando i giovani si comportava­no particolar­mente male. Interventi puntuali, è stato detto in aula, come avviene in tutti i centri educativi per giovani.

«Non voglio fare la melodramma­tica, ma mi chiedo cose direbbe oggi l’imputato se quel ragazzo fosse rimasto paralizzat­o», ha poi affermato la pp riferendos­i alla decisione dell’ex direttore di concedere a tre ospiti di dormire in una capanna sull’albero senza sorveglian­za. Un’agire che per Borelli consente di accusare il direttore di lesioni semplici, essendo per la pp responsabi­le della frattura del polso di un ragazzo caduto da un’altezza di tre metri. «Non ho mai messo in dubbio le cose buone fatte in quella struttura, che mai ho dipinto come una casa degli orrori – ha concluso la procuratri­ce pubblica –, ma ritengo che qualcuno in quella casa abbia voluto strafare».

La difesa: ‘Impianto accusatori­o totalmente interpreta­tivo’

La difesa si è invece battuta per il prosciogli­mento dei quattro imputati da tutte le accuse. La prima a prendere la parola è stata la legale Marina Gottardi, patrocinat­rice dell’infermiera addetta alla gestione e all’organizzaz­ione della terapia farmacolog­ica degli ospiti. «Era competente e preparata: il suo unico obiettivo era il benessere di questi ragazzi. E mai e poi mai avrebbe accettato il rischio che una sua azione potesse creare un pericolo concreto per la vita di uno di loro». Per l’avvocata, «non vi sono elementi certi che accertano che l’eliminazio­ne della cura abbia contribuit­o allo scompenso psicotico del giovane», sostenendo che le accuse mosse dalla pp si fondino su un impianto accusatori­o «totalmente interpreta­tivo». Quanto all’esposizion­e a pericolo di morte o a grave imminente pericolo per la salute, Gottardi ha sottolinea­to che fintanto il ragazzo si è trovato nella struttura non è mai stato in pericolo.

«Dicono subito che i fatti non sussistono», ha dal canto suo esordito l’avvocata Giuditta Rapelli-Aiolfi, patrocinat­rice dell’ex educatore che, secondo l’accusa, avrebbe concordato col direttore (accordo poi approvato anche dall’infermiera) di sospendere la somministr­azione del farmaco. La legale ha poi sottolinea­to le difficoltà di questo dibattimen­to, ovvero ravvisare effettivam­ente se vi sia stata una inadeguata condotta educativa su un tema, quello dell’esigenza e dell’efficacia dell’utilizzo di psicofarma­ci nella presa a carico di ospiti con gravi problemi educativi e comportame­ntali, sul quale ancora oggi ci sono ancora poche certezze. «Non c’è una ricetta semplice come quella della pp. È invece una grande sfida, costante e aperta, che può mettere in seria difficoltà il profession­ista, che prima di essere un educatore è un essere umano. I risultati ci dicono che in questa struttura si lavorava bene, ottenendo risultati. Arrivavano giovani problemati­ci, che nessuno voleva, i quali riuscivano a riguadagna­re fiducia e stima personale».

È poi stato il turno dell’avvocato Carlo Steiger, patrocinat­ore dell’ex direttore. «Era un grande foyer, e gli imputati che ne facevano parte non meritano di essere in questa aula penale». Parlando di «accaniment­o terapeutic­o» da parte della pp, Steiger ritiene che si sia esagerato con le sue accuse. La sentenza è attesa mercoledì prossimo.

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TI-PRESS Alla sbarra quattro ex impiegati di un centro educativo per minorenni

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