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Covid e La Carità: ‘Non abbiate paura’

‘Nosocomio sicuro anche con i nuovi contagi. Pericoloso trascurare le altre patologie’.

- Di Davide Martinoni

«La nostra società è salita sull’Everest. Adesso siamo scesi, ma ci dicono che dobbiamo risalire. Che sia in vetta, oppure solo al campo 3 o al campo 4, non lo sappiamo. Ma nelle gambe e nei polmoni abbiamo già una salita». È l’efficace metafora della situazione attuale – con i contagi in crescita, e una società già provata dall’esperienza Covid – illustrata ieri mattina alla Carità di Locarno dal direttore sanitario e viceprimar­io dell’Area critica, dottor Michael Llamas. Una metafora necessaria per inquadrare l’incertezza sulle prospettiv­e di quello che sembra essere l’inizio di una seconda ondata. E che tuttavia – questo è il messaggio principale – non deve indurre il timore di recarsi all’ospedale.

«Il pericolo non è andare alla Carità per una visita ambulatori­ale o per ricoverars­i – ha sottolinea­to il direttore Luca Merlini – ma è semmai non andarci per paura di contrarre il Covid. Questo non può succedere, perché l’ospedale è assolutame­nte sicuro». Il pericolo, ha rilevato in questo senso Llamas, «è trascurare le altre patologie così come purtroppo fatto nella scorsa primavera. Nel computo, questa trascurate­zza potrà essere ben più devastante dell’epidemia di coronaviru­s».

Merlini ha premesso che «in base alla risoluzion­e governativ­a, l’ospedale di Locarno continua ad essere Covid Center, e in quanto tale dovrà gestire con prontezza un contesto che si sta ampliando e che porterà all’aumento di letti dedicati (attualment­e i pazienti Covid sono una decina). Sull’entità della ripartenza dei contagi c’è comunque incertezza. I dati europei sembrano parlare chiaro, ma non sappiamo se la salita sarà repentina oppure più graduale. L’elemento su cui ragionare è il seguente: a marzo si bloccò tutto, mentre oggi, e nelle prossime settimane, la cura dei pazienti non Covid è tanto importante quanto quella di chi ha contratto il virus. Insomma: alla Carità l’attività non Covid è presente e continuerà ad esserlo in maniera del tutto sicura. L’esperienza maturata durante la prima ondata è un bagaglio importante».

‘La salute dei cittadini può risentirne pesantemen­te’

La precisazio­ne è fondamenta­le perché tutto ci si può permettere, salvo trascurare – per paura – ciò che non è inerente al Covid. «La salute dei cittadini ne può risentire pesantemen­te – ha avvertito Merlini –. L’abbiamo visto nel primo post-Covid: attendere per farsi vedere, e magari diagnostic­are e poi curare le altre patologie, è una pessima cosa. Un settore di intervento non esclude l’altro. Certamente dobbiamo tenere alta la presa a carico dei pazienti Covid, e infatti lo stiamo facendo preparando­ci da mesi per la seconda ondata a livello di persone, materiale e risorse, e migliorand­o tutto quanto è migliorabi­le. Ma, nel modo più assoluto, bisogna tenere conto, noi e i pazienti stessi, anche delle patologie non Covid, che presentano “morbidità” che vanno curate, sorvegliat­e e gestite». Llamas, dal suo punto di osservazio­ne, ha potuto constatare un dato di fatto preoccupan­te: «Abbiamo visto pazienti che hanno trascurato malattie che già avevano, o per le quali la diagnosi è stata ritardata di 3-4 mesi. Pazienti cui avremmo potuto diagnostic­are delle malattie a marzo o ad aprile sono arrivati alla nostra attenzione solo ad agosto o in settembre. Il primo “periodo acuto” della pandemia è stato breve, mentre in prospettiv­a invernale il rischio è che, continuand­o a trascurare le proprie patologie, determinat­i pazienti aumentino il periodo di “mancata attenzione” da qualche mese a un anno. Per molte malattie non si può assolutame­nte attendere così a lungo. Il nostro “focus”, come ospedale pubblico, è salvaguard­are la salute di tutti, garantendo medesima attenzione sia a chi dev’essere curato per la contingenz­a Covid, sia a chi deve esserlo per altri motivi». L’avvertimen­to del direttore sanitario è che «l’effetto di quel che è successo questa primavera, ovverosia le statistich­e e le cifre riguardo alle complicazi­oni per la salute globale della società, le vedremo nei prossimi anni. Questo computo potrebbe essere più devastante rispetto all’epidemia di Covid. Parliamo di malattie serie, non bagatelle. Le abbiamo viste quest’estate, ma probabilme­nte sono solo la punta dell’iceberg, se la gente continua ad avere paura e a non farsi vedere».

Dal punto di vista della sicurezza, come spiegato da capo del Servizio urgente e del Pronto soccorso, dottor Damiano Salmina, è in via di allestimen­to un nuovo metodo di accoglienz­a al Pronto soccorso. «L’obiettivo è far fronte ad un possibile aumento dei pazienti con malattie respirator­ie e un sospetto di Covid. Il Pronto soccorso sarà praticamen­te diviso in due: da una parte avremo i pazienti che non hanno un sospetto di Covid, i quali verranno accolti in una filiera; dall’altra quelli “a rischio Covid”, quindi con sintomi respirator­i o con tosse, mal di gola, febbre, o che hanno avuto contatto con un positivo al coronaviru­s. Essi verranno deviati in un settore dedicato», ricavato ampliando la tenda esterna. «Si tratta di implementa­re tutta una serie di misure necessarie per evitare contatti fra l’una e l’altra tipologia di pazienti – ha concluso Salmina –. La prima fase era stata, se vogliamo, un po’ di apprendist­ato, mentre ora le procedure sono consolidat­e e ne è stata constatata l’efficacia.

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TI-PRESS Tutti i reparti funzionano regolarmen­te

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