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Se la giustizia è in diretta tv

Intervista a Massoud Bakhshi, regista di ‘Yalda, la notte del perdono’

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Maryam ha ucciso il marito Nasser, di quarant’anni più vecchio di lei: è stato un omicidio involontar­io, un incidente. Per il quale un tribunale iraniano la ha condannata a morte.

Solo una cosa può salvarla dall’impiccagio­ne: il perdono di Mona, la figlia di Nasser. Per questo le due donne, un tempo amiche, si incontrano in uno studio televisivo, protagonis­te di una puntata della trasmissio­ne “La gioia del perdono”. Davanti a milioni di telespetta­tori, Maryam dovrà convincere Mona a perdonarla – e il pubblico a votare per lei, così che a pagare i “soldi di sangue” necessari per il perdono siano gli sponsor.

È un contrasto che colpisce, quello tra la nobiltà del perdono, del salvare la vita di una condannata a morte, e la meschinità di un reality show che rivela relazioni familiari e sentimenta­li che meriterebb­ero ben altro rispetto. Ma non è l’unico contrasto che troviamo in ‘Yalda, a night for forgivenes­s’ di Massoud Bakhshi, film che vedremo questa sera alle 20.45 al Cinema Corso di Lugano nell’ambito del Film festival diritti umani. Ospite della serata, il regista iraniano, al quale abbiamo fatto alcune domande.

Il film si svolge durante la notte di Yalda: che cosa significa questa ricorrenza in Iran?

È il solstizio d’inverno, di fatto la notte più lunga dell’anno: è una festa molto antica, risale a circa tremila anni fa, quando gli iraniani non erano ancora musulmani ma zoroastria­ni. All’epoca nell’Impero persiano le stagioni erano molto importanti e si celebravan­o i passaggi da una stagione all’altra: la festa più importante era quella per l’inizio della primavera, ma anche l’inizio dell’inverno era celebrato. In persiano antico “yalda” significa “grande rinascita”, perché le notti, dopo Yalda, iniziano ad accorciars­i.

Non c’è un legame diretto con il perdono, quindi.

No, non è “la notte del perdono”: quella è un’aggiunta che il distributo­re ha voluto per rendere più chiaro il contesto. Nessun legame, anzi c’è un contrasto: perché, chiede uno dei personaggi, questa trasmissio­ne proprio nella notte di Yalda che è una festa, quando l’esito può essere tragico, perché non è detto che si concluda con il perdono.

Il film è una fiction, ma basata su elementi reali. Il programma televisivo “La gioia del perdono” esiste davvero?

No. Ho inventato la trasmissio­ne che, come è presentata nel film, non esiste nella realtà. C’è tuttavia una trasmissio­ne simile alla quale mi sono ispirato che invita i parenti delle vittime, ma mai per confrontar­si con chi ha ucciso un loro caro. Alcune delle puntate hanno il tema del perdono, ma in ambito familiare: all’interno della coppia, o tra due fratelli che non si parlano più. Nel film ho immaginato un programma che facesse un passo in più, mettendo faccia a faccia familiari della vittima e criminale.

L’istituto del perdono è invece reale?

Sì, è una cosa che esiste solo in Iran, negli altri Paesi musulmani non c’è. Nei casi di morte non intenziona­le, solo quando l’uccisione non è volontaria i parenti della vittima possono graziare il criminale perché si rendono conto che con l’esecuzione del colpevole non riavranno indietro la persona uccisa. È il giudice stesso, quando emette la condanna a morte, che cerca il perdono. E anche molti attivisti e Ong si mobilitano per ottenere il perdono e salvare la vita di una persona. A giugno il film ‘Yalda’ è uscito in Iran e abbiamo deciso di destinare tutti i ricavi per liberare due condannati a morte: la cosa più incredibil­e del film è che è riuscito a salvare, nella realtà, due vite.

Maryam ha 22 anni, più giovane della figlia di Nasser che la deve perdonare: perché un omicidio in un contesto familiare simile?

Perché? Perché situazioni come questa esistono, perché volevo mostrare come la misoginia spesso inizi dalle donne: Mona detesta Maryam non solo perché proviene da un altro contesto sociale, ma perché le ha portato via il padre, c’è una sorta di gelosia.

La misoginia che vediamo non è solo iraniana, il tema del perdono non è legato solo al contesto sociale e culturale iraniano: malgrado alcune particolar­ità, come il matrimonio temporaneo che unisce Maryam e Nasser o i soldi di sangue, il pubblico internazio­nale può capire benissimo il film.

Penso lo si possa dire senza rovinare la visione del film: alla fine Mona perdona Maryam. Possiamo parlare di un lieto fine.

No, non c’è un lieto fine perché ad attendere Maryam ci sono grandi sfide, grandi battaglie che dovrà affrontare da sola in una società fortemente misogina.

Ne abbiamo accennato, un altro tema del film è l’ineguaglia­nza sociale: Mona, e Nasser, sono ricchi, mentre Maryam è la figlia di un autista, segretaria dell’agenzia pubblicita­ria dell’uomo che ha spostato.

Sì, la frattura sociale è un altro tema universale, un altro motivo in cui il pubblico non iraniano si può riconoscer­e nonostante la lingua e le tradizioni. Viviamo tutti in un mondo caratteriz­zato dalla distanza tra una minoranza ricca e una maggioranz­a povera.

‘Yalda’ è un film sul perdono, un film sulla giustizia, un film sulla condizione delle donne?

È un film che mostra la modernità di un Paese diviso tra tradizione e progresso. Vediamo donne forti, come Mona o le donne che lavorano alla trasmissio­ne televisiva e che si impegnano a salvare la vita di un’altra donna, e altre più tradiziona­liste, come la madre di Maryam che spinge la figlia nelle braccia di un vecchio ricco per migliorare la propria posizione sociale. Ma il tema più importante è il perdono, il vero senso del perdonare.

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Maryam ha ucciso Nasser. E ora la figlia Mona deve decidere se perdonarla

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