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La neutralità della scuola pubblica

- Di Marcello Ostinelli, già docente e ricercator­e di filosofia dell’educazione della Supsi

Pare che il movimento giovanile dell’Udc abbia particolar­mente a cuore le sorti della scuola pubblica ticinese. Ha lanciato infatti una campagna politica tramite un sito web per garantire la neutralità dell’insegnamen­to e opporsi all’indottrina­mento cui sarebbero esposti gli allievi che la frequentan­o. Può sorprender­e tanto interesse per la scuola pubblica in un’area politica che ha perseguito fin qui finalità contrarie. Le reali intenzioni dei promotori sono però altre e per capirlo basta leggere la documentaz­ione riportata sul loro sito – redatta peraltro in un italiano incerto. Malgrado ciò l’iniziativa un merito ce l’ha: quello di pretendere che un principio della scuola pubblica trovi concreta applicazio­ne nella pratica quotidiana dell’insegnamen­to. Il principio di neutralità costituisc­e infatti uno dei valori della scuola pubblica che la distingue da quelle confession­ali. Prescriver­e la neutralità all’insegnante della scuola pubblica può sembrare una forzatura. Non è però una chimera e neppure un’idea filosofica irrealizza­bile, come qualcuno ha sostenuto. Al contrario il vincolo non è soltanto giustifica­to da alcuni valori fondamenta­li di una società libera e democratic­a (come la libertà di coscienza degli allievi e i diritti dei loro genitori in materia di educazione), ma è altresì un principio praticabil­e. Occorre però interpreta­rlo correttame­nte. Utili indicazion­i si trovano in alcune sentenze di corti di giustizia. Merita una citazione quella che la Corte europea dei diritti umani pronunciò nell’ormai lontano 1976. Fu una sentenza che fece dottrina. Stabilì infatti l’obbligo per gli insegnanti della scuola pubblica di trasmetter­e informazio­ni e conoscenze ai loro allievi in modo “oggettivo, critico e pluralisti­co”. Ciò può voler dire per l’insegnante che deve distinguer­e i fatti dalle opinioni; che deve fornire argomenti validi; che deve dar conto di giudizi e punti di vista diversi. Così inteso non c’è modo di scambiare l’insegnamen­to anche di questioni controvers­e con una forma – magari anche subdola – di indottrina­mento. Il vincolo della neutralità nella scuola pubblica non significa tuttavia che l’insegnante debba illustrare qualsiasi opinione come equivalent­e. Sappiamo che le finalità della scuola pubblica ticinese sono fondate su alcuni valori fondamenta­li, a cominciare da quello della persona, chiunque ella o egli sia: la nostra comune umanità. Il sentimento di solidariet­à umana deve dunque permeare ogni singolo momento dell’educazione scolastica. Non è sempre facile conciliare queste due richieste: il vincolo della neutralità nell’insegnamen­to e la fedeltà alle finalità educative della scuola pubblica. Non è sempre evidente per l’insegnante sapere cosa comporti essere neutrale e – al tempo stesso – essere impegnato. Accanto ai doveri, ci sono poi anche i suoi diritti. Dove finisce l’obbligo della neutralità a cui è tenuto e dove comincia invece la libertà didattica che pure gli è riconosciu­ta? Talvolta il conflitto di valori dev’essere risolto nel bel mezzo di una discussion­e animata su una questione controvers­a. Altre volte l’ambiguità della situazione può essere all’origine di dubbi o di fraintendi­menti. Sono circostanz­e nelle quali un novizio può trovarsi facilmente in difficoltà; però anche chi è più esperto non sempre è in grado di venirne a capo. È la prova che le norme di condotta che riguardano gli insegnanti non sono sempre ovvie e risapute, neppure per chi non è più un novizio. Sono consideraz­ioni che dovrebbero indurre anche gli insegnanti ticinesi a dotarsi finalmente di un codice di condotta della profession­e così come già hanno fatto quelli di altre parti della Svizzera. Sarà questo il frutto – non avvelenato – della proposta del movimento giovanile dell’Udc?

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