Disgiunti alla meta
Ancora un no dal parlamento alla congiunzione delle liste per Cantonali e Comunali
L’eterno ritorno dell’uguale. Nella discussione già svoltasi nel 2013 e in doppia tornata nel dicembre 2017 e gennaio 2018. Nella bocciatura come nelle occasioni precedenti. Nemmeno ieri c’è stato niente da fare: le congiunzioni tra partiti per le elezioni cantonali e comunali dovranno aspettare ancora un bel po’. Niente da fare, quindi, per l’iniziativa dell’allora granconsigliere e oggi consigliere nazionale Udc Piero Marchesi e ripresa dal capogruppo democentrista Sergio Morisoli. E dire che le premesse c’erano. E anche l’aritmetica, a dirla tutta. Complice il voto non espresso da sei leghisti – con una Lega favorevole –, il rapporto di maggioranza redatto da Lara Filippini è stato ribaltato in aula. Dando ragione, insomma, al profetico Omar Balli (Lega) che nel suo intervento ricorda, al netto di tanta retorica, come «chi pensa di guadagnare dalle congiunzioni voterà sì, chi pensa di perderci voterà no. Possiamo girarla e rigirarla ma il punto è questo». A festeggiare Plr e Ppd, contrari alla reintroduzione delle congiunzioni e usati come parafulmine da chi invece ne sosteneva il ritorno continuando a rimarcare il fatto che liberali radicali e popolari democratici dopo aver affossato le congiunzioni due anni fa si sono infine ‘congiunti’ per le Federali dell’anno scorso e ora sono ‘tornati’ a contrastarle. Ma, appunto, ‘tornati’? Il capogruppo del Ppd Maurizio Agustoni rilegge il proprio intervento di due anni fa, rimarcando che «idealmente le congiunzioni servono a garantire anche ai piccoli partiti una voce nel dibattito politico, e a livello federale va bene che siano previste per l’elezione del Consiglio nazionale: i seggi a disposizione dei Cantoni sono pochi, e il rischio che grandi fette di popolazione non abbiano rappresentanza c’è. In Ticino a disposizione ci sono 90 seggi, e non c’è questo problema. Non si capiva due anni fa quali fossero i problemi del sistema attuale, non si capiscono nemmeno oggi». E infine: «Ogni partito deve partecipare alla contesa elettorale con le proprie idee, senza scorciatoie o aiutini elettorali». Il relatore del rapporto di minoranza, poi vincente, Paolo Ortelli (Plr) va con l’accetta: chiedere di reintrodurre la congiunzione delle liste «ribalta sul sistema elettorale le incapacità di taluni nel trovare consensi, occorre avere il coraggio di dire che introdurre di nuovo le congiunzioni è solo opportunismo politico. Con questa proposta il re è nudo». A ruota la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella: «Agli occhi di molti sembra una manovra di palazzo».
Nulla ha potuto Lara Filippini (Udc): «È giunto il momento di prevedere una certa uniformità per le congiunzioni, a tutti i livelli, senza che esistano elezioni di serie A e di serie B». E nemmeno il collega di partito Sergio Morisoli, che addirittura guardava più in là, cioè alla virata su un sistema elettorale maggioritario: «La congiunzione è una tappa intermedia, tenuto conto dei mutamenti in atto mal si spiegherebbe un sistema che le consente a livello federale e non a livello cantonale». Sconfitto anche Carlo Lepori (Ps), che tira una frecciata al centro: «Nel nostro sistema è più corretto votare per i programmi prima che per le persone, e la congiunzione è lo strumento migliore per affrontare meglio la situazione. Chi dice che è solo un’operazione tattica ricordi che pochi mesi fa ne ha fatta una». Bersaglio mancato. Il sostegno di Verdi e Pc, il pollice verso di Mps e Più donne compongono il quadro finale: 38 favorevoli, 43 contrari. Con sul tabellone quei sei pallini vuoti e non verdi in casa Lega.
Ripartenza con inciampo
Dalla Treccani. Il parlamento è una “assemblea politica dello Stato moderno, e precisamente l’organo collegiale di carattere rappresentativopolitico mediante il quale il popolo, attraverso i suoi rappresentanti eletti, partecipa all’esercizio del potere per la formazione delle leggi e il controllo politico del governo”. Non si comprende, per giunta in occasione del ritorno del plenum del Gran Consiglio a casa, a Palazzo delle Orsoline, la decisione di rifiutare l’inserimento nell’ordine del giorno di una discussione generale sul tema Covid-19 proposta da Matteo Pronzini (Mps). Un parlamento per sua definizione parla. E altro non è che la rappresentanza popolare. In tempi emergenziali dove termini come ‘ordinanza’ o ‘risoluzione governativa’ sono ben più abituali di ‘dibattito’ è un peccato che le forze politiche, i rappresentanti del popolo, abbiano segato il ramo che le sostiene e abbiano deciso che la seconda ondata della pandemia di coronavirus, con i dati che tutti leggiamo ogni giorno, non meritasse una discussione o una serie di domande al governo. O meglio, che basti farne una a posteriori, forse. A cose fatte. Le cittadine e i cittadini hanno bisogno qualcosa più di un quotidiano bollettino. Un coinvolgimento tramite i propri rappresentanti siamo sicuri che non fosse chiedere troppo.