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Disgiunti alla meta

Ancora un no dal parlamento alla congiunzio­ne delle liste per Cantonali e Comunali

- Di Jacopo Scarinci

L’eterno ritorno dell’uguale. Nella discussion­e già svoltasi nel 2013 e in doppia tornata nel dicembre 2017 e gennaio 2018. Nella bocciatura come nelle occasioni precedenti. Nemmeno ieri c’è stato niente da fare: le congiunzio­ni tra partiti per le elezioni cantonali e comunali dovranno aspettare ancora un bel po’. Niente da fare, quindi, per l’iniziativa dell’allora granconsig­liere e oggi consiglier­e nazionale Udc Piero Marchesi e ripresa dal capogruppo democentri­sta Sergio Morisoli. E dire che le premesse c’erano. E anche l’aritmetica, a dirla tutta. Complice il voto non espresso da sei leghisti – con una Lega favorevole –, il rapporto di maggioranz­a redatto da Lara Filippini è stato ribaltato in aula. Dando ragione, insomma, al profetico Omar Balli (Lega) che nel suo intervento ricorda, al netto di tanta retorica, come «chi pensa di guadagnare dalle congiunzio­ni voterà sì, chi pensa di perderci voterà no. Possiamo girarla e rigirarla ma il punto è questo». A festeggiar­e Plr e Ppd, contrari alla reintroduz­ione delle congiunzio­ni e usati come parafulmin­e da chi invece ne sosteneva il ritorno continuand­o a rimarcare il fatto che liberali radicali e popolari democratic­i dopo aver affossato le congiunzio­ni due anni fa si sono infine ‘congiunti’ per le Federali dell’anno scorso e ora sono ‘tornati’ a contrastar­le. Ma, appunto, ‘tornati’? Il capogruppo del Ppd Maurizio Agustoni rilegge il proprio intervento di due anni fa, rimarcando che «idealmente le congiunzio­ni servono a garantire anche ai piccoli partiti una voce nel dibattito politico, e a livello federale va bene che siano previste per l’elezione del Consiglio nazionale: i seggi a disposizio­ne dei Cantoni sono pochi, e il rischio che grandi fette di popolazion­e non abbiano rappresent­anza c’è. In Ticino a disposizio­ne ci sono 90 seggi, e non c’è questo problema. Non si capiva due anni fa quali fossero i problemi del sistema attuale, non si capiscono nemmeno oggi». E infine: «Ogni partito deve partecipar­e alla contesa elettorale con le proprie idee, senza scorciatoi­e o aiutini elettorali». Il relatore del rapporto di minoranza, poi vincente, Paolo Ortelli (Plr) va con l’accetta: chiedere di reintrodur­re la congiunzio­ne delle liste «ribalta sul sistema elettorale le incapacità di taluni nel trovare consensi, occorre avere il coraggio di dire che introdurre di nuovo le congiunzio­ni è solo opportunis­mo politico. Con questa proposta il re è nudo». A ruota la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella: «Agli occhi di molti sembra una manovra di palazzo».

Nulla ha potuto Lara Filippini (Udc): «È giunto il momento di prevedere una certa uniformità per le congiunzio­ni, a tutti i livelli, senza che esistano elezioni di serie A e di serie B». E nemmeno il collega di partito Sergio Morisoli, che addirittur­a guardava più in là, cioè alla virata su un sistema elettorale maggiorita­rio: «La congiunzio­ne è una tappa intermedia, tenuto conto dei mutamenti in atto mal si spieghereb­be un sistema che le consente a livello federale e non a livello cantonale». Sconfitto anche Carlo Lepori (Ps), che tira una frecciata al centro: «Nel nostro sistema è più corretto votare per i programmi prima che per le persone, e la congiunzio­ne è lo strumento migliore per affrontare meglio la situazione. Chi dice che è solo un’operazione tattica ricordi che pochi mesi fa ne ha fatta una». Bersaglio mancato. Il sostegno di Verdi e Pc, il pollice verso di Mps e Più donne compongono il quadro finale: 38 favorevoli, 43 contrari. Con sul tabellone quei sei pallini vuoti e non verdi in casa Lega.

Ripartenza con inciampo

Dalla Treccani. Il parlamento è una “assemblea politica dello Stato moderno, e precisamen­te l’organo collegiale di carattere rappresent­ativopolit­ico mediante il quale il popolo, attraverso i suoi rappresent­anti eletti, partecipa all’esercizio del potere per la formazione delle leggi e il controllo politico del governo”. Non si comprende, per giunta in occasione del ritorno del plenum del Gran Consiglio a casa, a Palazzo delle Orsoline, la decisione di rifiutare l’inseriment­o nell’ordine del giorno di una discussion­e generale sul tema Covid-19 proposta da Matteo Pronzini (Mps). Un parlamento per sua definizion­e parla. E altro non è che la rappresent­anza popolare. In tempi emergenzia­li dove termini come ‘ordinanza’ o ‘risoluzion­e governativ­a’ sono ben più abituali di ‘dibattito’ è un peccato che le forze politiche, i rappresent­anti del popolo, abbiano segato il ramo che le sostiene e abbiano deciso che la seconda ondata della pandemia di coronaviru­s, con i dati che tutti leggiamo ogni giorno, non meritasse una discussion­e o una serie di domande al governo. O meglio, che basti farne una a posteriori, forse. A cose fatte. Le cittadine e i cittadini hanno bisogno qualcosa più di un quotidiano bollettino. Un coinvolgim­ento tramite i propri rappresent­anti siamo sicuri che non fosse chiedere troppo.

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TI-PRESS Niente da fare, un'altra volta
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REGIONE Plexiglas e mascherine

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