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Quando la tecnocrazi­a minaccia la democrazia

Oggi l’impression­e è che il parere dei tecnici sia considerat­o indiscutib­ile non solo sul piano scientific­o, ma anche su quello politico. Un problema, in democrazia, perché non lascia spazio ad altri valori e opinioni

- Maurizio Agustoni*

È notorio, fin dai tempi più antichi, che nella storia del mondo non c’è “nulla di nuovo sotto il sole”. Le questioni essenziali, al netto delle sfumature dovute allo sviluppo tecnologic­o o ai cambiament­i sociali, sono sempre le stesse. Un tema ricorrente è chi deve/può fissare le regole di una società. Nella storia umana si sono sperimenta­te diverse soluzioni, oscillanti tra la monarchia assoluta (uno solo decide per tutti) e l’anarchia (ciascuno decide per sé). Oggi il pendolo della storia, almeno alle nostre latitudini, tende verso la democrazia. La democrazia, per funzionare bene, ha bisogno di un contesto sociale in cui si possa dibattere liberament­e sulle diverse decisioni da prendere. Oggi questo presuppost­o mi sembra sempre meno scontato; sempre più spesso viene sostenuta la tesi che il parere dei “tecnici”, in virtù dell’asserita superiore competenza scientific­a, sia indiscutib­ile e debba imporsi a tutti. L’effetto pratico è che alcune decisioni, de facto, vengono sottratte al meccanismo democratic­o. La giustifica­zione filosofica di questa pretesa risale almeno alla “Repubblica” di Platone (IV secolo a.C.), a riprova del fatto che non si inventa mai nulla. In quel dialogo Platone sosteneva che il governo della città dovesse essere affidato ai “filosofi”, e ciò per le loro doti intellettu­ali. Questa posizione, già “sospetta” ai tempi di Platone (anche a causa del suo conf litto di interesse), risulta oggi ancora meno accettabil­e se pensiamo a quale sia l’ambito decisional­e di una democrazia. L’elettorato, in effetti, non si occupa di stabilire le verità scientific­he, ma di decidere le regole di una società, che (almeno in una società laica) sono delle opinioni. Sarebbe per esempio assurda una votazione per stabilire se il fumo faccia male alla salute. Qualsiasi decisione prendesse l’elettorato, gli effetti del fumo continuere­bbero ad essere i medesimi. Sarebbe come organizzar­e una votazione per decidere il valore della costante di gravitazio­ne universale. È però legittimo che il popolo, al meglio dopo essersi informato sui vari aspetti della questione, decida se proibire il fumo, se porre certi limiti (p. es. legati all’età dei fumatori o ai luoghi) o se consentirl­o liberament­e. In altri termini, il ruolo dei tecnici è quello di fornire gli elementi per decidere con cognizione di causa, non quello di prendere le decisioni al posto di Governi, Parlamenti o popoli. Per riprendere l’esempio precedente, il popolo, pur consapevol­e dei rischi per la salute, potrebbe decidere di consentire il fumo anche ai minorenni e pure negli spazi chiusi (com’era il caso anche da noi, fino a non molto tempo fa). Oggi, su alcune questioni fondamenta­li, ho l’impression­e che il parere dei tecnici sia invece considerat­o indiscutib­ile non solo nella sua componente scientific­a (il che potrebbe anche starci), ma anche nella sua componente “politica”. Detto altrimenti: non è soltanto la diagnosi a essere indiscutib­ile, ma anche la scelta se adottare la terapia. Quest’ultimo aspetto, in una società democratic­a, è molto problemati­co, poiché nega la possibilit­à di avere priorità o scale di valori (e quindi opinioni) diverse. Il meccanico può certamente dirmi che per sistemare l’automobile è necessario sostituire il motore (verità scientific­a), ma sarebbe inaccettab­ile se potesse pure decidere al posto mio se riparare l’automobile (opinione). Questo non significa che il tecnico non possa esprimere anche un’opinione politica (ci mancherebb­e!), con la consapevol­ezza, però, che in una società democratic­a l’opinione di un premio Nobel vale (e deve valere) né più né meno di quella di ogni altra persona. Qualsiasi altra conclusion­e contraddir­ebbe il principio “1 testa = 1 voto” che è alla base di ogni sistema democratic­o. La democrazia, tanto più quella semi-diretta, impone una grossa responsabi­lità a ogni cittadina o cittadino: da un lato informarsi per capire le implicazio­ni delle proprie decisioni (“conoscere per deliberare”), dall’altro lato difendere e rivendicar­e costanteme­nte il diritto di ciascuno a “dire la propria”. In effetti, una società in cui alcune questioni (anche importanti) sono sottratte al dibattito democratic­o cessa di essere una democrazia e ne rappresent­a tutt’al più una (brutta) caricatura. Restiamo vigili.

* avvocato, deputato al Gran Consiglio

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