Quando la tecnocrazia minaccia la democrazia
Oggi l’impressione è che il parere dei tecnici sia considerato indiscutibile non solo sul piano scientifico, ma anche su quello politico. Un problema, in democrazia, perché non lascia spazio ad altri valori e opinioni
È notorio, fin dai tempi più antichi, che nella storia del mondo non c’è “nulla di nuovo sotto il sole”. Le questioni essenziali, al netto delle sfumature dovute allo sviluppo tecnologico o ai cambiamenti sociali, sono sempre le stesse. Un tema ricorrente è chi deve/può fissare le regole di una società. Nella storia umana si sono sperimentate diverse soluzioni, oscillanti tra la monarchia assoluta (uno solo decide per tutti) e l’anarchia (ciascuno decide per sé). Oggi il pendolo della storia, almeno alle nostre latitudini, tende verso la democrazia. La democrazia, per funzionare bene, ha bisogno di un contesto sociale in cui si possa dibattere liberamente sulle diverse decisioni da prendere. Oggi questo presupposto mi sembra sempre meno scontato; sempre più spesso viene sostenuta la tesi che il parere dei “tecnici”, in virtù dell’asserita superiore competenza scientifica, sia indiscutibile e debba imporsi a tutti. L’effetto pratico è che alcune decisioni, de facto, vengono sottratte al meccanismo democratico. La giustificazione filosofica di questa pretesa risale almeno alla “Repubblica” di Platone (IV secolo a.C.), a riprova del fatto che non si inventa mai nulla. In quel dialogo Platone sosteneva che il governo della città dovesse essere affidato ai “filosofi”, e ciò per le loro doti intellettuali. Questa posizione, già “sospetta” ai tempi di Platone (anche a causa del suo conf litto di interesse), risulta oggi ancora meno accettabile se pensiamo a quale sia l’ambito decisionale di una democrazia. L’elettorato, in effetti, non si occupa di stabilire le verità scientifiche, ma di decidere le regole di una società, che (almeno in una società laica) sono delle opinioni. Sarebbe per esempio assurda una votazione per stabilire se il fumo faccia male alla salute. Qualsiasi decisione prendesse l’elettorato, gli effetti del fumo continuerebbero ad essere i medesimi. Sarebbe come organizzare una votazione per decidere il valore della costante di gravitazione universale. È però legittimo che il popolo, al meglio dopo essersi informato sui vari aspetti della questione, decida se proibire il fumo, se porre certi limiti (p. es. legati all’età dei fumatori o ai luoghi) o se consentirlo liberamente. In altri termini, il ruolo dei tecnici è quello di fornire gli elementi per decidere con cognizione di causa, non quello di prendere le decisioni al posto di Governi, Parlamenti o popoli. Per riprendere l’esempio precedente, il popolo, pur consapevole dei rischi per la salute, potrebbe decidere di consentire il fumo anche ai minorenni e pure negli spazi chiusi (com’era il caso anche da noi, fino a non molto tempo fa). Oggi, su alcune questioni fondamentali, ho l’impressione che il parere dei tecnici sia invece considerato indiscutibile non solo nella sua componente scientifica (il che potrebbe anche starci), ma anche nella sua componente “politica”. Detto altrimenti: non è soltanto la diagnosi a essere indiscutibile, ma anche la scelta se adottare la terapia. Quest’ultimo aspetto, in una società democratica, è molto problematico, poiché nega la possibilità di avere priorità o scale di valori (e quindi opinioni) diverse. Il meccanico può certamente dirmi che per sistemare l’automobile è necessario sostituire il motore (verità scientifica), ma sarebbe inaccettabile se potesse pure decidere al posto mio se riparare l’automobile (opinione). Questo non significa che il tecnico non possa esprimere anche un’opinione politica (ci mancherebbe!), con la consapevolezza, però, che in una società democratica l’opinione di un premio Nobel vale (e deve valere) né più né meno di quella di ogni altra persona. Qualsiasi altra conclusione contraddirebbe il principio “1 testa = 1 voto” che è alla base di ogni sistema democratico. La democrazia, tanto più quella semi-diretta, impone una grossa responsabilità a ogni cittadina o cittadino: da un lato informarsi per capire le implicazioni delle proprie decisioni (“conoscere per deliberare”), dall’altro lato difendere e rivendicare costantemente il diritto di ciascuno a “dire la propria”. In effetti, una società in cui alcune questioni (anche importanti) sono sottratte al dibattito democratico cessa di essere una democrazia e ne rappresenta tutt’al più una (brutta) caricatura. Restiamo vigili.
* avvocato, deputato al Gran Consiglio