laRegione

Tra nuove misure e psiche da salvare

Covid-19, lo psichiatra Michele Mattia: ‘Serve fiducia in chi decide, ma l’emotività conta’

- Di Jacopo Scarinci

Si chiama ‘pandemic fatigue’. ‘Stanchezza pandemica’ in italiano. L’Organizzaz­ione mondiale della sanità ne parla da qualche giorno perché – si legge in un report – “le persone si sentono demotivate a seguire i comportame­nti consigliat­i per proteggere se stesse e gli altri dal virus”. Di più: “Trovare modi efficaci per affrontare questa stanchezza e rinvigorir­e la vigilanza pubblica è una sfida crescente con il perdurare della crisi”. Una crisi composta da contagi in aumento, preoccupaz­ione crescente e timor i di tornare alla situazione della primavera scorsa. «Per parlare di stanchezza pandemica dobbiamo prima comprender­e bene cosa l’ha portata», spiega a colloquio con ‘laRegione’ Michele Mattia, psichiatra, psicoterap­euta della famiglia e presidente dell’Associazio­ne della Svizzera italiana per l’ansia, la depression­e e i disturbi ossessivi compulsivi. E si tratta «di tre elementi».

Quali, dottore?

Iniziamo con il fatto che abbiamo avuto un primo periodo, con sei settimane di clausura, dove tutti eravamo all’interno delle stesse regole, le decisioni erano chiare per tutti. Poi è arrivata l’illusione estiva, dove la popolazion­e si è illusa che in fondo il virus stesse andando fuori dalle nostre vite. Mentre abbiamo visto che si era sempliceme­nte sopito. L’altro elemento è legato al fatto che c’è stata una brusca impennata dei contagi, prendendo di sorpresa tante persone: era come se ci si aspettasse di avere il tempo per rientrare all’interno della crisi, ma la crisi stessa non ci ha dato tempo. Il terzo elemento che emerge è che non c’è più una voce unica, come nella prima fase del lockdown, ma ci sono voci anche dissonanti rispetto alla politica. Ricorsi interposti contro decisioni del Consiglio di Stato come successo in Vallese sarebbero stati impensabil­i mesi fa. Tutto questo, ora, crea una dimensione di insicurezz­a, frustrazio­ne. Ci sono filosofi che parlano di democrazia che stiamo perdendo. Tutto questo agisce sulla popolazion­e, assieme al comprender­e che il tutto probabilme­nte durerà i prossimi mesi invernali e siamo all’inizio.

Considerat­o questo, però, resta la necessità di uscirne. Di fare comunque qualcosa. Quale può essere il modo migliore?

Partendo dal ritrovare la fiducia nei confronti di chi deve prendere le decisioni, che possono essere pure impopolari anche se la politica sta molto attenta a prenderle. Chi sta prendendo decisioni le prende per la collettivi­tà, dobbiamo partire da questo assunto fondamenta­le. Altrimenti rischiamo di perderci nella critica di ogni cosa, che va bene laddove si crea un’unità d’intenti finale. Ma non va bene quando condiziona il pensiero della persona, aumentando la stanchezza. Ripartire da un punto zero è necessario, è quello che ci ha aiutati con il lockdown. Dividersi l’uno dall’altro, creando sottogrupp­i, è la via della disgregazi­one con l’incremento delle intolleran­ze sociali.

In questo contesto la responsabi­lità individual­e cui sia la Confederaz­ione sia il Cantone richiamano con forza ha un ruolo fondamenta­le. Ma per alcuni può essere un peso, non una motivazion­e.

La responsabi­lità individual­e risponde a quanto diciamo, se ognuno la assume permette di creare una responsabi­lità collettiva con fiducia nei confronti dell’autorità. Che non può più avere l’autonomia di prendere una decisione indipenden­temente da tutto. Oggi ci sono molte associazio­ni pronte a muoversi dopo una decisione governativ­a. Stimolare sempre di più la responsabi­lità civile di ognuno è tornare alla base della democrazia. Nella prima parte ci siamo lamentati che era quasi uno stato di polizia, adesso si sta cercando di rimettere al centro la democrazia.

Però il secondo lockdown non è più un tabù, in Italia si sono già verificate azioni di rivolta e protesta contro gli ultimi decreti. Si tiene conto a sufficienz­a dell’aspetto emotivo e della psiche delle persone quando si prendono certe decisioni?

È un punto cruciale. Le ricerche mostrano che c’è stato un aumento significat­ivo dei disturbi d’ansia, depressivi, d’insonnia e di stress. L’ultima, rilasciata in Italia due settimane fa, parla di un aumento del 58% di questo tipo di disturbi. Dobbiamo considerar­e altamente quello che è l’impatto psicologic­o. Se la nostra mente comincia a perdere punti di riferiment­o e sicurezze, la reazione è la rabbia sociale e l’aggressivi­tà tra le persone stesse. La parte psicologic­a è quella che ci permette di entrare nella responsabi­lità collettiva o nella ribellione collettiva, che è quella delle associazio­ni che fanno ricorso o protestano. Bene in questo senso ha fatto il Dipartimen­to sanità e socialità ad autorizzar­e le famiglie a visitare i parenti ricoverati. Bisogna dare un significat­o al benessere minimo, capendo la persona che teme di non trovare più il suo lavoro, la sua sicurezza economica. Così si può ridurre il rischio di ribellione sociale che stiamo vedendo in giro per l’Europa.

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TI-PRESS Aumentano ansia, insonnia e stress: ‘Ridurre il rischio di ribellione sociale’
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TI-PRESS Cercando il bel tempo, dentro e fuori

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