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Debiti insanabili frutto di crediti di troppo

Molti Paesi poveri sono indebitati con le nostre grandi banche: che si impegnino a cancellarl­i!

- Di Dominik Gross, Alliance Sud

In aprile, al John F. Kennedy Memorial Medical Center di Monrovia, il più grande ospedale pubblico della Liberia, cinquanta medici hanno scioperato. Protestava­no contro le misure insufficie­nti di protezione contro il coronaviru­s adottate dal loro ospedale. In seguito, a causa dell’alta incidenza d’infezioni nel Paese, anche le autorità nazionali competenti in ambito sanitario, presenti nella capitale liberiana, sono state chiuse. Sebbene sinora in questo Paese dell’Africa occidental­e siano stati registrati ufficialme­nte poco più di 200 casi di Covid-19, a metà aprile una parte importante dei servizi sanitari di Monrovia, città di più di un milione di abitanti, è risultata temporanea­mente inagibile. Bisogna sottolinea­re che il sistema sanitario della Liberia è estremamen­te fragile: conta solo quattro medici ogni 100’000 abitanti. In Svizzera ce ne sono cento volte di più. Secondo le categorie della Banca Mondiale, la Liberia è tra i paesi a basso reddito (lowincome countries), in altre parole si inserisce tra le nazioni più povere del globo. Stando ai dati dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità (OMS), lo scorso anno, le spese per la sanità dei 69 Paesi più poveri del mondo hanno raggiunto la cifra di 20 miliardi di franchi; solo in Svizzera, nel medesimo periodo, la spesa per la sanità ammontava a 80 miliardi di franchi. La pandemia di coronaviru­s non solo ha portato le strutture della sanità pubblica sull’orlo del collasso (o anche oltre), ma comporta anche gravi conseguenz­e economiche. Il commercio di materie prime, in particolar­e, è stato quasi completame­nte paralizzat­o. Il crollo dei prezzi su scala mondiale ha alimentato a sua volta la spirale d’indebitame­nto dei Paesi estrattivi. Per esempio, il forte calo dei prezzi del petrolio, già avviato per ragioni geopolitic­he prima della crisi del coronaviru­s, ha avuto un profondo impatto negativo sull’economia nigeriana. In primavera, questa evoluzione, combinata a un inaridimen­to senza precedenti degli investimen­ti nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, ha spinto più di un centinaio di Paesi sull’orlo della bancarotta nazionale. Questi ultimi, non hanno avuto altra scelta che chiedere l’aiuto finanziari­o del Fondo Monetario Internazio­nale (FMI). I Paesi dell’Africa subsaharia­na rischiano la prima recessione degli ultimi 25 anni.

Più la povertà è grande, maggiore è l’impatto dei debiti

I Paesi poveri che da decenni soffrono per la fuga di capitali, la corruzione e il sovra-indebitame­nto e che, a differenza di alcuni Paesi emergenti, i mercati finanziari non consideran­o raccomanda­bili per gli investimen­ti, sono ormai intrappola­ti nella spirale dell’indebitame­nto. Considerat­i (spesso) la grande debolezza delle loro stesse valute, l’impotenza delle loro banche centrali, la scarsa mobilitazi­one della loro base fiscale e l’elevato livello del loro debito in valuta estera, questi Paesi difficilme­nte possono perseguire politiche economiche autonome e non sono quindi in grado di rispondere da soli alle crisi globali. Di fatto, quando contraggon­o nuovi debiti sui mercati finanziari, in particolar­e con l’emissione di nuovi titoli di Stato, i tassi d’interesse su questi prestiti sono di molte volte superiori a quelli applicati nei confronti della Confederaz­ione svizzera. Oggi, in consideraz­ione dei tassi d’interesse negativi applicati dalla Banca nazionale svizzera, il nostro paese può ottenere gratuitame­nte nuovi capitali. Questo privilegio la Svizzera lo deve alla sua solida economia di esportazio­ne, alla sua piazza finanziari­a e alle sue zone a bassa tassazione per le imprese. In sintesi, le banche, le imprese e l’industria d’esportazio­ne le assicurano un approvvigi­onamento costante di capitali, superiore a quello delle importazio­ni, garantendo l’elevato rating creditizio.

Come aiutare i Paesi poveri

a superare la crisi?

Come aiutare i Paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina a superare questa complessa crisi? È risaputo che l’evasione fiscale, la corruzione e il riciclaggi­o di denaro sporco sono problemi politici di lunga data che in un contesto di crisi, di certo, non si risolveran­no più rapidament­e. Se questi Stati possono già difficilme­nte beneficiar­e della cooperazio­ne internazio­nale nella lotta medica diretta contro il coronaviru­s, sicurament­e non trarranno vantaggi nella questione più controvers­a delle possibili delineazio­ni di un sistema fiscale mondiale più equo. Che l’istituzion­e di un tale sistema sia già di per sé una risposta politica molto plausibile alla crisi sanitaria globale fa poca differenza. Effettivam­ente, la crisi mostra al mondo intero, come raramente è avvenuto prima, il ruolo centrale giocato dallo Stato nel garantire la salute delle sue cittadine e dei suoi cittadini.

La situazione è più semplice quando si tratta di debiti. Se i debitori e i creditori raggiungon­o un accordo, i debiti possono essere in poco tempo estinti. Miliardi di dollari sarebbero così disponibil­i per investimen­ti pubblici nella sanità e nel benessere sociale. Per il solo anno 2020, la cancellazi­one dell’intero debito dei 69 Paesi più poveri del mondo porterebbe nelle casse pubbliche 25 miliardi di dollari supplement­ari. Le risorse finanziari­e che questi Paesi potrebbero poi utilizzare per combattere il coronaviru­s sarebbero improvvisa­mente più che raddoppiat­e. La Svizzera, una delle più importanti piazze finanziari­e del mondo, potrebbe contribuir­e in modo significat­ivo al superament­o della crisi. Tuttavia, l’anno successivo i Paesi poveri sarebbero confrontat­i alle medesime sfide. Per questo motivo, a livello multilater­ale è necessaria una ristruttur­azione a medio termine dei regimi d’indebitame­nto.

Le grandi banche svizzere

sono tenute ad agire

Nel mondo si distinguon­o generalmen­te tre tipologie di creditori: i creditori privati (ad esempio le banche, le casse pensioni, i gestori patrimonia­li, i privati e le imprese esterne al settore finanziari­o), i creditori multilater­ali – in primo luogo le cosiddette istituzion­i di Bretton Woods, ossia la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazio­nale (FMI) – e i creditori bilaterali, ovvero gli Stati che concedono prestiti ad altri Stati. La Svizzera ha da tempo cessato di agire come creditore bilaterale. Inoltre, sul piano politico c’è poco da aspettarsi dal FMI e dalla Banca Mondiale: le condizioni politiche che queste istituzion­i multilater­ali ricollegan­o alle loro attività dovrebbero essere riformate con urgenza. Queste istituzion­i, nel contesto della crisi climatica globale, della crisi della salute e delle disuguagli­anze non dovrebbero più promuovere esclusivam­ente la classica crescita economica, che ignora le problemati­che sociali ed ecologiche, ma piuttosto stimolare la sostenibil­ità globale in relazione agli obiettivi dell’Agenda 2030. Tuttavia la Svizzera, a causa dei suoi limitati diritti di voto, ha poca influenza nelle istituzion­i di Bretton Woods, dove non c’è da stupirsi se ha intrapreso da decenni un percorso poco progressis­ta. Rimangono quindi i creditori privati: secondo la Banca nazionale svizzera (BNS) e la Banca dei regolament­i internazio­nali (BRI), 40 banche svizzere sono attualment­e attive negli 86 Paesi più poveri del mondo per un totale di 5,7 miliardi di franchi. Consideran­do che, a detta dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità (OMS), la spesa sanitaria totale dei 69 Paesi più poveri ammonta a soli 19,7 miliardi di euro, 5,7 miliardi sono una somma molto consistent­e che corrispond­e alla metà del budget per i prossimi quattro anni destinato dalla Confederaz­ione alla Cooperazio­ne Internazio­nale (CI).

Scandali, corruzione e creditori di peso!

Negli ultimi anni, gli enormi scandali di corruzione in Mozambico e in Papua Nuova Guinea hanno dimostrato quanto importante e devastante possa essere il ruolo di creditori di peso delle grandi banche svizzere nell’indebitame­nto dei Paesi poveri. In Mozambico sette anni fa, Credit Suisse ha concesso al governo prestiti per un totale di 2 miliardi di dollari, pari a un ottavo del prodotto interno lordo dell’epoca di questo Paese dell’Africa sudorienta­le. Quello che lo Stato avrebbe dovuto investire nell’espansione dell’industria della pesca è finito nelle tasche di chi portava avanti l’affare. La bancarotta è stata nazionale con conseguenz­e devastanti per la popolazion­e: «Negli ultimi anni, le difficoltà economiche hanno impedito significat­ivi migliorame­nti nella lotta contro l’HIV o la malaria. La mortalità infantile e materna è rimasta alta », si leggeva lo scorso anno sulla rivista elettronic­a Republik. Inoltre, nella primavera del 2019, le regioni più povere del Mozambico sono state colpite da un ciclone; la popolazion­e coinvolta ha dovuto gestire da sola le conseguenz­e della catastrofe. La fame e la malaria sono onnipresen­ti. Non si osa immaginare cosa accadrebbe a seguito della diffusione del coronaviru­s anche in questo Paese.

Nel 2014 il governo della Papua Nuova Guinea ha preso in prestito 945 milioni di franchi dall’UBS per l’acquisto di azioni del maggior produttore di petrolio del paese, Oil Search Ltd. Il ministro delle Finanze si è opposto, ma il primo ministro, utilizzand­o probabilme­nte metodi illegali (il processo è in corso), ha imposto l’acquisizio­ne del prestito contro ogni previsione. Con grande dispiacere della popolazion­e: «L’operazione di prestito ha fatto guadagnare a UBS più di 80 milioni di franchi, mentre ha fatto perdere enormi quantità di denaro alla Papua Nuova Guinea. Infatti, pochi mesi dopo l’otteniment­o del prestito, i prezzi del petrolio e del gas sono crollati e il governo ha dovuto svendere in perdita l’intero pacchetto d’azioni della Oil Search. Questa operazione di credito e le sue conseguenz­e hanno privato questo Stato insulare finanziari­amente fragile di quasi 400 milioni di dollari», ha riferito un anno fa Karin Wenger, corrispond­ente nel Sudest asiatico per la radio della Svizzera tedesca SRF, nel programma “Echo der Zeit”. Per uno Stato con una spesa totale di 14 miliardi di dollari, non si tratta sicurament­e di bazzecole. In questi casi la riduzione del debito o la sua cancellazi­one, presso le grandi banche svizzere, costituisc­ono un notevole beneficio per le popolazion­i dei Paesi interessat­i. Non solo, queste operazioni libererebb­ero anche le banche da scomodi rischi di credito: se, in questa crisi, l’operazione di salvataggi­o effettuata dalle banche centrali occidental­i nel marzo 2020 non avesse stabilizza­to a sufficienz­a il sistema finanziari­o, le grandi banche avrebbero ricomincia­to a vacillare. E allora presto, come a seguito della crisi finanziari­a del 2008, ogni debito insanabile, non cancellato, sarà il frutto di un credito di troppo.

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TI-PRESS Capitali in fuga, corruzione e sovra-indebitame­nto

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