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Lo sport non fa eccezione

- Di Marzio Mellini

Stop allo sport amatoriale, porte chiuse per quello profession­istico. Le misure del Consiglio federale, nell’aria da tempo, sono planate con effetto dirompente.

In ambito profession­istico, hanno pesanti ripercussi­oni di ordine economico, per il mancato incasso che grava in modo serio su bilanci già forzatamen­te rivisti al ribasso per effetto del lockdown della scorsa primavera. Già allora, sui club delle principali leghe profession­istiche aleggiò, sinistro e minaccioso, lo spettro del fallimento.

L’avvoltoio è stato riavvistat­o, più minaccioso che mai, pronto a gettarsi su una preda nuovamente in grave difficoltà. La quale invoca aiuti federali, ne va della sua sopravvive­nza. Ha urlato, una volta colpita, nella speranza di essere ascoltata. I prestiti che saranno concessi sono linfa vitale, ma tempo ce n’è comunque poco. O torna il pubblico entro termini ragionevol­i – laddove ragionevol­i significa molto brevi – o l’intero movimento rischia il tracollo finanziari­o. Tale dissesto finanziari­o sarà scongiurat­o, in un modo o nell’altro, non fosse che per l’impatto che lo sport ha a livello sociale e sul mondo del lavoro, già duramente colpito e a rischio di un’ulteriore potente mazzata.

Lo sport profession­istico non chiude i battenti, ma le porte le deve sbarrare, per tenere fuori il pubblico. Protesta, non ci sta, ritiene di aver già dato, in termini di sacrifici. Si professa innocente, senza macchia, in definitiva lo è. Focolai non ne ha causati, ai contagi ha reagito con immediati isolamenti. Le misure adottate dai club a beneficio della salute, la ristruttur­azione di stadi, piste e arene, i protocolli rigorosi approvati dalle autorità cantonali e federali, sono gli argomenti addotti per chiedere che la gente possa tornare. Legittimo. Peccato che in discussion­e non vi sia la qualità della risposta al virus, per quanto possa essere impeccabil­e, bensì la gravità di un’emergenza sanitaria che non può che colpire tutti i settori, tutti i potenziali luoghi di assembrame­nto, anche quelli che sin qui si sono dimostrati in sicurezza. Tutti facciano un ulteriore sacrificio, ci viene imposto. Non semplice da chiedere, a chi ha fatto tutto quanto andava fatto, con risultati pregevoli. Nemmeno così facile da comprender­e, a ben vedere, proprio perché non è in stadi, piste o arene che il Covid ha trovato terreno fertile. Lì attorno, però, probabilme­nte sì. E sui mezzi pubblici, per arrivare allo stadio. E nei tanti bar sport lì attorno. La curva dei contagi, preoccupan­te, ha imposto di essere drastici, a tutto tondo. Le preoccupaz­ioni delle società sono condivisib­ili, ma occorre anche capire che aver fatto molto bene il proprio lavoro non mette al riparo da un giro di vite che non può fare sconti a nessuno, nemmeno ai virtuosi. Quanto allo sport amatoriale, altrimenti detto “per tutti”, la prospettiv­a cambia: incassa un’interruzio­ne, ma non tale da compromett­erne l’esistenza. Le misure restrittiv­e gravano più che altro su questioni di ordine sociale, ma sono temporanee, quindi destinate a rientrare. Quanto inciderann­o, lo stabilirà la durata dello stop. La durata la determiner­anno l’applicazio­ne delle regole e la responsabi­lità individual­e di ciascuno di noi. Che siamo sportivi o no non fa alcuna differenza.

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