laRegione

Cambia genere a scuola elementare: ‘Va rispettata’

Un allievo delle Elementari assume un’identità femminile: pareri a confronto

- di Dino Stevanovic

Pareri specialist­ici a confronto sul bambino che ha ottenuto di assumere un’identità femminile. Quadri: ‘Tutti gli interpella­ti dalla scuola hanno detto di riconoscer­ne l’identità’.

Marco amava vestirsi di rosa e giocare con le bambine, portare i capelli più lunghi. Pur essendo nato biologicam­ente maschio, Marco sentiva di non appartener­e a quel genere ed è riuscito a ottenere di essere chiamata Giulia, dalla famiglia e dalla sua cerchia di conoscenze. È riuscita a cambiare genere sessuale. Questa non è però la storia a lieto fine di una persona transgende­r come altre. È invece la storia tutta in divenire di una bambina di una prima elementare di Lugano, della sua famiglia, della scuola che frequenta e dei suoi compagni. È una storia unica in Ticino – la prima che emerge pubblicame­nte quantomeno – per la giovanissi­ma età della protagonis­ta e già solo per questo merita rispetto e delicatezz­a. A renderla pubblica, due giorni fa, un’interpella­nza firmata da Edo Pellegrini (Udf) e Roberta Soldati (Udc). Eloquente il titolo scelto dai due granconsig­lieri: “Nelle scuole ticinesi vengono violati i diritti dei bambini nella loro sfera sessuale?”.

SCUOLE COMUNALI ‘Tutti ci hanno detto di riconoscer­ne l’identità’

L’atto parlamenta­re – che cita casi concreti di quanto avverrebbe in aula – punta il dito contro la direzione dell’Istituto scolastico di Lugano e contro l’ispettorat­o, citando la preoccupaz­ione delle famiglie e dei compagni di classe, “alcuni talmente a disagio che c’è chi piange la sera e fatica ad addormenta­rsi e c’è chi si è addirittur­a dovuto rivolgere a uno psicologo per affrontare questa increscios­a e inaccettab­ile situazione”. «Che fosse una situazione estremamen­te delicata è apparso immediatam­ente chiaro – ci dice il capodicast­ero Formazione, sostegno e socialità della Città Lorenzo Quadri –. Quando si è presentata, abbiamo dovuto decidere come gestirla. Ma non l’abbiamo fatto da soli. Sono state interpella­te tutte le istanze competenti (cantonali, giuridiche, specialist­iche, ndr). Tutte, e sottolineo tutte, le risposte che sono arrivate andavano nella stessa direzione: riconoscer­e l’identità di genere della bambina. La scuola quindi non ha agito di testa sua o seguito un capriccio di una famiglia, come sembra leggendo l’atto parlamenta­re».

‘Falsità nell’interpella­nza, nessun obbligo’ Nella scuola e nella comunità alle porte della città dove si è verificato il caso, negli ultimi mesi qualche tensione si è effettivam­ente verificata. Le famiglie interessat­e, da noi sentite, hanno preferito non esprimersi neanche in forma anonima: la situazione è delicata e sono coinvolti dei bambini, la comprensib­ile spiegazion­e. Ma Marco diventato Giulia (i nomi sono evidenteme­nte di fantasia) ha creato delle preoccupaz­ioni in alcuni genitori. In particolar­e quelli che hanno figlie femmine, come sottolinea­to dall’interpella­nza. Ma sono preoccupaz­ioni giustifica­te? «Intanto non è vero che Giulia si cambia con le altre bambine – smentisce il municipale –. Per quanto riguarda la settimana verde e i corsi di nuoto, si troveranno delle soluzioni ad hoc, di modo che non ci sia contatto in situazioni d’intimità. Sono già previsti una serie di accorgimen­ti. Evidenteme­nte non è previsto nessun obbligo. Al di là delle mie posizioni personali e degli scetticism­i, ci sono delle leggi da rispettare, stiamo parlando di una scuola dell’obbligo che ha il dovere di accogliere tutti».

‘La legge dice che la scuola deve rispettare

la personalit­à dei bambini’

Sì, perché prendere una decisione non è stato facile, ma un quadro legale c’è. «Se si sarebbe potuto fare meglio non lo so, può anche darsi, ma per noi è stata una prima – premette Quadri –. La Legge sulla scuola dice che quest’ultima deve rispettare la personalit­à dei bambini. Ovviamente, tutti i bambini vanno scolarizza­ti e questa è la base. La scuola deve garantire il massimo rispetto, sia alla bambina che ha manifestat­o un’esigenza particolar­e, sia al resto della classe». Non sono quindi stati violati i loro diritti? «Capisco bene che la situazione possa suscitare delle perplessit­à. Ma la domanda va posta al contrario: la scuola avrebbe avuto il diritto di imporre al bambino di venire a scuola vestito da maschio e comportars­i da tale? La risposta è stata no». Il capodicast­ero respinge infine critiche sulla gestione: «È difficile immaginare una gestione diversa. Era anche difficile informare prima, perché quando è arrivata la richiesta è stato necessario raccoglier­e le risposte. Sono stati messi in campo degli accorgimen­ti a sostegno della classe, è stato organizzat­o un momento informativ­o alla presenza dello psicologo scolastico per i genitori e ne sono programmat­i altri. Ovviamente la situazione va gestita nel rispetto delle esigenze di tutti. La direzione scolastica è a disposizio­ne delle famiglie per accogliere le preoccupaz­ioni di tutti. Non ci sono bambini di serie A e di serie B».

DECS Manuele Bertoli: ‘Ritirate l’interpella­nza’

Questa la risposta da parte dell’ente comunale competente. Abbiamo interpella­to anche il Dipartimen­to dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs), che tuttavia ha preferito non esprimersi sul caso concreto essendoci sul tavolo un’interpella­nza rivolta al Consiglio di Stato. «Sono questioni molto delicate. Credo che sia bene che queste cose vengano trattate là dove devono esserlo, non messe in piazza in maniera eccessiva. Per cui non vorrei affrontare adesso questo tema» ci ha risposto infatti il direttore del Decs Manuele Bertoli lanciando un messaggio agli interpella­nti: «Anzi, auspichere­i che chi ha presentato l’interpella­nza la ritiri. Sarebbe un segno di delicatezz­a verso queste questioni e ci aiuterebbe a trattarle in maniera corretta là dove devono esserlo». FC

PARERI SPECIALIST­ICI Rossi: ‘Scelta prematura’ Bausch: ‘Coraggiosa’

L’atto parlamenta­re tuttavia, pur con modi e modalità discutibil­i, solleva una questione socialment­e rilevante, inedita e di interesse pubblico: l’identità di genere, in particolar modo nel contesto dell’infanzia. Ne abbiamo parlato quindi con due esperti di opinioni parzialmen­te divergenti. «Sono molto colpita, trovo sia un po’ difficile parlare di identità di genere a 6/7 anni – l’opinione di Barbara Rossi, psicologa, psicoterap­euta e sessuologa –. Non voglio banalizzar­e e ho un grande rispetto per le scelte delle persone. Secondo me non dovremmo trattare i bambini come dei piccoli adulti. I bambini sono tali e hanno bisogno di fare le proprie esperienze. Il rispetto dell’identità del bambino passa anche dal dargli la possibilit­à di crescere, di sperimenta­re. La prudenza, anche nell’interpreta­re i segni che lanciano, penso che sia fondamenta­le. Non conosco le ragioni che hanno portato a questa scelta ed è difficile esprimersi, però mi sembra una scelta un po’ prematura».

Bausch: ‘Mi sento vicino alla famiglia’ «Bisogna essere prudenti – concorda Paolo Bausch –. Nell’atto parlamenta­re si parla di richiesta della famiglia, che suppongo faccia il bene del bambino e che sia quindi quest’ultimo a sentirsi una bambina. Se è così, è qualcosa da prendere molto seriamente a favore del bambino. In questo senso mi sento vicino a una famiglia che coraggiosa­mente porta avanti questo – sottolinea però il presidente della Società ticinese di psichiatri­a e psicoterap­ia –. Se il bambino non s’identifica con il suo genere dato dalla biologia ma con qualcosa di diverso, questa cosa va assolutame­nte rispettata secondo me. Trovo altrettant­o ragionevol­e quanto praticato dall’Istituto scolastico. L’identità di genere risponde a delle regole che non sono sempre sovrapponi­bili alla biologia e questo non dipende dall’età». E per aiutare gli altri bambini a comprender­e meglio la situazione? «Ci sono dei testi che possono aiutare, dei libri adatti all’età di ogni bambino che possono dare delle spiegazion­i comprensib­ili. I bambini sono molto aperti e tolleranti, il problema spesso non è loro ma degli adulti».

Coppola: ‘I bambini vanno assecondat­i,

per non creare sofferenze future’ Anche un’altra opinione specialist­ica approva l’operato di famiglia e scuola: «Sembrerebb­e che la scuola si sia mossa nel modo giusto, cercando di capire la situazione assieme ai genitori e arrivando alla conclusion­e che fosse meglio, come di solito è in questi casi, assecondar­e il desiderio del bambino – osserva Marco Coppola –. Solitament­e, l’identità di genere è qualcosa che si può rilevare già nei primi anni di vita, molti studi dicono già attorno al terzo anno. Quindi può capitare che un bambino o una bambina esprimano comportame­nti che riferiamo al sesso col quale non sono nati biologicam­ente o il desiderio di essere chiamati con un nome del sesso opposto. La letteratur­a sull’argomento ci dice che è meglio assecondar­li. Questo non significa che crescendo il bambino o la bambina confermerà quell’identità di genere. Se però diventa stabile nel tempo e non la si asseconda, si crea sofferenza. I bambini che si sentono nati nel corpo sbagliato e vedono i genitori, la scuola e tutto quel che li circonda essergli contrari, soffrono». Bene assecondar­e i desideri del bambino quindi, secondo il responsabi­le dei progetti legati all’identità sessuale di Zonaprotet­ta, ma «non immediatam­ente: solo se il desiderio dura nel tempo e non si tratta di una confusione».

I compagni? ‘Vanno sensibiliz­zati, esistono

modi semplici per spiegare’

Ma, se il contesto scolastico o quello sociale non sono adeguatame­nte preparati al cambiament­o, non si rischia di creare comunque delle sofferenze? «Sì, certo. Non si può obbligare qualcuno all’accettazio­ne, neanche la scuola può farlo, il lavoro che va fatto quindi è di sensibiliz­zazione. Questo è un primo passo importante. Per le cose più pratiche si trovano delle soluzioni: riguardo agli spogliatoi ad esempio, adibire un luogo dove il ragazzo o la ragazza possano cambiarsi separatame­nte dagli altri oppure dove questo non crea imbarazzo può anche farlo assieme agli altri. Dipende molto dalle situazioni, non c’è una regola. Per i bambini più piccoli la soluzione può essere che lo faccia in un terzo luogo, così da non creare preoccupaz­ioni soprattutt­o per i genitori». E spiegare una situazione così particolar­e, e rara, ai piccoli coetanei di Giulia si può? «Io credo di sì. Esiste un modo semplice per spiegarlo: nasciamo maschi o femmine e sentiamo di stare bene nel nostro corpo nella maggior parte dei casi. Può succedere che alcuni bambini, alcune persone, nascano non sentendosi nel corpo giusto. Credo che questa sia una spiegazion­e semplice che i docenti e i genitori possono utilizzare e i bambini facilmente capire».

 ??  ??
 ?? TI-PRESS/ARCHIVIO ?? Biologicam­ente di un genere, psicologic­amente di un altro
TI-PRESS/ARCHIVIO Biologicam­ente di un genere, psicologic­amente di un altro

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland