laRegione

Gli infermieri non sono degli eroi

- Di Simone Romeo, pedagogist­a

Con il peggiorare della situazione sanitaria, e l’arrivo di quella che viene definita seconda ondata della pandemia da Covid-19, si sta tornando, giustament­e, a discutere delle condizioni di lavoro delle infermiere e degli infermieri. Già il fatto che si torni a discuterne – come se durante i mesi di relativa tregua estiva rispetto ai contagi, alle ospedalizz­azioni e alle cure intense, non fosse stato necessario interrogar­si sulle condizioni di lavoro e sulle difficoltà di questa profession­e, ma soprattutt­o prendere delle decisioni incisive e applicarle di conseguenz­a anche in previsione della situazione autunnale – indica come la politica sia colpevolme­nte in ritardo, adagiata sovente sulla retorica degli eroi.

Le informazio­ni diffuse pochi giorni fa dalla Società svizzera di medicina intensiva, che riportano un vissuto sacrifical­e e di abbandono da parte degli infermieri delle terapie intensive, sono estremamen­te significat­ive. Dopo gli applausi dai balconi della popolazion­e durante il primo lockdown, e i proclami di molti politici – abili soltanto a cavalcare il momento sui media e i social con prese di posizione strappa-lacrime e acchiappa-consensi alle quali non sono seguite neppure le azioni minime, che in Ticino potevano essere, per esempio, l’adeguament­o dei regolament­i comunali per gli infermieri alle condizioni di lavoro e salariali dell’Eoc – quello che resta agli infermieri sono turni di lavoro fino a sessanta ore e condizioni di lavoro faticose, rischiose e diffusamen­te insufficie­nti. Sono passate poche settimane da una trasmissio­ne di approfondi­mento televisivo dove si rifletteva sul fatto che, dopo quindici anni di servizio, metà degli infermieri abbandona la profession­e. Emergeva, inoltre, una carenza di posti di formazione in Ticino per una delle profession­i che sarà sempre più necessaria in futuro, che si somma a problemi di riconoscim­ento di condizioni di impiego adeguate all’onere lavorativo e formativo richiesto a questi profession­isti. Sì, perché infermiere e infermieri sono dei profession­isti, non degli eroi. Studiano, si formano, si specializz­ano, lavorano grazie alle conoscenze e all’esperienza accumulata sul campo, faticano nel conciliare lavoro e famiglia, soffrono, si ammalano. Non sono dotati di nessun potere. Non intraprend­ono decisioni in autonomia sul destino altrui. Non vivono della fama di cui li si circonda. Non hanno diritto a nessun trattament­o speciale rispetto agli altri cittadini. Quello che va riconosciu­to è semmai lo sforzo, questo sì, forse, potrebbe essere definito “eroico”, che stanno facendo in questa situazione drammatica. Ma va ricordato che il loro non è un sacrificio per un ideale; che non sono missionari che operano per rinfrancar­e il loro spirito (qualcuno li ha addirittur­a definiti “angeli”, in sprezzo alla laicità della profession­e). La loro fatica deve trovare (almeno) un’adeguata compensazi­one nel salario, nelle vacanze, nell’autonomia decisional­e – che molti medici faticano a delegare – e in quella economica rispetto alle prestazion­i, nelle opportunit­à formative. Esiste un’iniziativa “per cure infermieri­stiche forti” che è stata rifiutata lo scorso anno, con grande lungimiran­za, prima dal Consiglio Federale, poi dal parlamento. Quest’ultimo ha poi approvato un controprog­etto del tutto aleatorio e insufficie­nte pur di “evitare un aumento dei costi della salute” e non scontentar­e le lobby legate alle assicurazi­oni malattia, che nel frattempo continuano a lucrare sulla pelle dei cittadini. Vedremo, se e quando si arriverà in votazione, chi avrà il coraggio di sostenerla, e chi vorrà vivere di rendita dopo essersi crogiolato nella retorica degli eroi.

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