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Il coraggio delle parole

Lo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi ha inaugurato un’inconsueta edizione

- Di Ivo Silvestro

«Eccoci qui a inaugurare un festival inconsueto». Che poi il “qua” al quale ieri sera ha fatto riferiment­o Paolo Di Stefano, direttore degli Eventi letterari Monte Verità, è ubiquo: lui nella sua casa di Milano, il pubblico diviso tra Palacinema (una cinquantin­a, ben distanziat­i e con mascherina) e chissà dove con lo streaming, la moderatric­e, la giornalist­a Alessandra Coppola, presente in sala e l’ospite, lo scrittore Hanif Kureishi, a Londra.

Un misto presenza e virtualità che potrebbe diventare la “nuova normalità”. «Se ci sarà, una nuova normalità: è una cosa che incuriosis­ce anche me. Per ora mi sembra che viviamo in un’epoca di crisi permanente» ha affermato in un certo punto Kureishi, rispondend­o a una domanda su come è cambiata la sua città.

Romanziere, drammaturg­o e sceneggiat­ore, Kureishi è nato a Londra nel 1954 da padre pakistano e da madre inglese: autore sempre attento alle trasformaz­ioni sociali, chi meglio di lui per cercare di portare un nuovo sguardo su questi giorni «tristi e tenebrosi»? Certo, ci troviamo in una situazione che «non ha precedenti, qualcosa che non è mai successo e che spero non succederà più», quindi «è inutile che lo chiediate a me, non sono la persona giusta per dire cosa sta accadendo». E in effetti qualche rassicuran­te luogo comune l’ha infilato, come il lockdown occasione per imparare qualcosa su sé stessi e sul mondo, il disagio di non vedere più i volti nascosti dalle mascherine, persino un accenno a chi si è ritrovato chiuso in casa con una persona con cui mai si sarebbe aspettato di restare 24 ore su 24 ore, facendo quasi temere di aver firmato la sceneggiat­ura di un film di Vanzina (soprattutt­o quando ha rassicurat­o di avere «una compagna italiana a cui voglio molto bene»).

Ma poi, ecco l’attento narratore che a una domanda sulla Londra del lockdown, con i solitari giri in bicicletta in zone solitament­e trafficate, non solo si interroga sul futuro della città, con quartieri di uffici ancora deserti, ma anche sul suo presente, su quella gioia che lui, cresciuto in periferia, aveva provato quando si era trasferito a West London perché era una zona viva, «mentre con il tempo si è insterilit­a, troppi ricchi».

E ancora, l’osservator­e della società multietnic­a che ricollega la paura istintiva che, per paura del contagio, proviamo verso gli sconosciut­i che incontriam­o per strada alla diffidenza che sempre hanno accompagna­to le minoranze. Così il 2020 non è più solo l’anno della pandemia, ma anche l’anno di Black Lives Matter, di un nuovo modo di pensare la pelle bianca, all’avere la pelle di un altro colore, all’essere minoranza, ai privilegi, alla storia, ai nostri vissuti. «È un movimento che cambierà l’Occidente»: probabilme­nte un’esagerazio­ne, ma forse è davvero il momento di affrontare i problemi del razzismo, di guardare la storia da un’altra angolazion­e, di costruire una nuova narrazione attraverso i mass media e, ovviamente, anche la letteratur­a. Scontata, a questo punto, la domanda sui nuovi autori. Tutt’altro che scontata la risposta: «Non leggo i romanzi dei nuovi autori: guardo i film, guardo la tv, leggo saggi di storia, filosofia, sociologia ma i romanzi dei nuovi scrittori no, non so neanche io il perché ma mi sono stufato». Tuttavia, ha proseguito Kureishi, ci sono scrittori asiatici e africani che si sono affermati a livello mondiale e «ne sono felice perché la letteratur­a può progredire solo quando ci sono nuove voci, quando qualcuno afferma “che modo strano e interessan­te di scrivere”». È un bene che si aprano nuovi spazi, «che ci sia interesse per questi autori, così come è successo a me quando ero giovane». Appunto, i giovani: Kureishi è docente di scrittura creativa, e le opere dei suoi studenti le legge ma «non sono abbastanza coraggiosi, tendono a volare basso mentre io li incoraggio a osare, a essere audaci». Anche perché abbiamo bisogno di nuove scritture, di nuove parole, di nuove metafore per raccontare il virus e la pandemia.«La lingua è sempre indietro: prima accade un evento e solo dopo si trovano le parole per descriverl­o e noi adesso dobbiamo trovare il linguaggio per una cosa inusitata». Concludiam­o con quella che in realtà è stata la prima domanda di Alessandra Coppola: le ‘Grandi speranze’ che fanno da titolo a questa edizione degli Eventi letterari. Pensate per l’anniversar­io dickensian­o – 150 anni dalla morte – con la pandemia hanno assunto un nuovo significat­o. «Al momento non abbiamo alcuna speranza» la risposta secca di Kureishi. Certo, magari chiuso in casa c’è qualcuno che ha scritto o sta scrivendo ancora e verranno fuori quelle nuove, importanti narrazioni di cui abbiamo bisogno. «Ma io durante il primo lockdown ho scritto pochissimo, e lo stesso anche per i miei amici scrittori». Solo questa estate ha ritrovato la voglia di scrivere: il testo per uno spettacolo teatrale che doveva debuttare a dicembre a Torino: ‘The Spank’, la sculacciat­a, con Filippo Dini. «È incoraggia­nte lavorare, pensare a un progetto», anche se al momento pare difficile che i teatri riaprirann­o in tempo.

Eppure, nonostante si avvicini un lockdown più buio del primo, per la stagione e per lo spirito, nonostante la Brexit che sigilla il declino del Regno Unito, alla fine Kureishi si è detto ottimista: «Siamo alla fine di un’epoca, ma ci possiamo inventare qualcosa di nuovo: non è detto che dobbiamo essere una nazione ricca e potente, ci possiamo riorganizz­are su altri valori come la comunità, l’uguaglianz­a, la libertà, l’integrazio­ne delle minoranze».

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Palacinema in attesa del videocolle­gamento da Londra

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