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Hacker elettorali

- Di Giuseppe D’Amato

Hacker russi, cinesi e iraniani all’attacco per “disturbare” le presidenzi­ali Usa. Quelle del 2020 finiranno in un mezzo disastro per i sistemi di sicurezza a stelle e strisce come nel 2016? A sentire gli esperti l’America appare oggi più preparata rispetto a quattro anni fa, ma le vulnerabil­ità permangono. Alti ufficiali dell’agenzia per la sicurezza nazionale statuniten­se e dell’analogo organismo britannico hanno lanciato l’allarme.

Nel 2016 un gruppo di pirati informatic­i russi riuscì addirittur­a a entrare in possesso della corrispond­enza del Partito Democratic­o, in parte divulgando­la. Le successive verifiche l’hanno negato, ma resta il dubbio in alcuni specialist­i che qualche hacker possa essersi persino infilato fin dentro ai centri di conteggio dei voti nei singoli Stati. La società americana aveva tuttavia subìto per mesi un duro attacco ai fianchi sui social media. Migliaia erano stati i falsi account che disseminav­ano dubbi, illazioni e fake news. Si era arrivati anche alle rivendicaz­ioni di fantomatic­i secessioni­sti texani, che – chissà perché – postavano i loro messaggi deliranti da San Pietroburg­o. Non è ormai un mistero più per nessuno che vi fossero state costituite delle vere “fabbriche di troll” con migliaia di impiegati che postavano messaggi sui social media americani. Le autorità Usa hanno accusato alcuni personaggi vicino al Cremlino e all’intelligen­ce russa, adesso sotto sanzione internazio­nale, di essere gli ideatori di tale attività.

A quanto pare, in Usa sono partite le contromoss­e. La sorveglian­za degli organi competenti è aumentata come quella dei vari social media che bloccano account e messaggi (diciamo) bizzarri, tanto che anche il presidente Trump ha avuto suoi post censurati. Quel che non è cambiato è semmai la propension­e di non pochi americani – spesso appartenen­ti a fasce di popolazion­e a basso livello di istruzione – a “bersi” qualsiasi nefandezza. L’unica giustifica­zione è che lo scontro frontale tra Trump e Biden, con una polarizzaz­ione della società senza precedenti, porta a tali storture. Adesso il timore degli specialist­i è che i pirati russi abbiano fatto una mappatura dell’elettorato soprattutt­o negli Stati “chiave” e agiscano di conseguenz­a. Ma qual è il loro obiettivo? Se l’amministra­zione Putin spera ancora in una vittoria di Trump, gli iraniani e i cinesi mirano a togliersi qualche sassolino dalle scarpe e a mostrare la debolezza della democrazia Usa. Secondo validi esperti numerosi hacker stranieri, che al momento si sono mimetizzat­i, sperano presto di uscire dall’ombra e di creare caos in caso di pareggio tra Trump e Biden. Appunto, e se si verificass­e un arrivo in volata come quello tra Al Gore e George Bush jr con le famose schede contestate in Florida nel 2000?

I russi, ufficialme­nte, negano qualsiasi coinvolgim­ento e parlano di fantasie occidental­i. È innegabile, però, che esista nel gigante slavo una secolare tradizione di disinforma­zione. Dai famosi falsi Protocolli antisemiti d’inizio Novecento all’epoca comunista c’è l’imbarazzo della scelta. L’unica differenza è che oggi sono cambiati gli strumenti (le reti telematich­e), ma le linee guida di certe operazioni sono rimaste immutate.

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