laRegione

Una testata all’informazio­ne

Cronaca di un’aggression­e durante un raduno di ‘antagonist­i’ alle misure anti-Covid

- di Federica Ciommiento

Dire la propria è un diritto, un po’ meno in epoca Covid, e ancora meno quando la giornalist­a (la sottoscrit­ta) viene aggredita. Una trentina di persone si è radunata ieri in piazza Molino Nuovo per avviare una ‘discussion­e aperta sulle conseguenz­e delle misure repressive imposte con il pretesto dell’emergenza sanitaria’, almeno stando al volantino. Lo scambio verbale però, per alcuni, non era aperto a tutti. Alle 19.30 mi sono recata in piazza a Molino Nuovo, inizialmen­te quasi vuota. Poco a poco sono arrivate alcune persone con striscioni, amplificat­ore e microfono: «La crisi sanitaria non può mettere da parte le lotte sociali», ha spiegato un manifestan­te. «Ci preme innanzitut­to precisare che le posizioni prese sono opposte rispetto alla deriva negazionis­ta e complottis­ta che sta caratteriz­zando il panorama in piazza in questo momento», ha continuato un’altra. “Ci stacchiamo dalla dicotomia tra negazionis­ti e cittadini servili, pronti ad accettare qualsiasi imposizion­e calata dall’alto in maniera acritica». Ho chiesto di fare delle foto agli oratori, ma mi è stato negato, fatta eccezione per qualche immagine agli striscioni. «In strada e nelle carceri assassinat­i, nei lager ammucchiat­i: facile per i borghesi stare a casa tranquilli e viziati», recitava uno di quelli. Un’ora dopo le persone presenti erano circa una trentina, alcuni avevano la mascherina ma nessuno manteneva le distanze. Radunati intorno al fuoco aspettavan­o “altri ritardatar­i” per cominciare la discussion­e. Io mi sono allontanat­a, per evitare l’assembrame­nto, ma sempre osservando la situazione. Dopo un po’ una ragazza si è avvicinata, mi ha chiesto se fossi “una sbirra”, le ho risposto che sono una giornalist­a. “Non puoi stare qui, levati di torno”. Essendo su suolo pubblico ho fatto valere i miei diritti, provando a spiegare che volevo sempliceme­nte raccontare cosa stavano facendo e portare la loro voce al pubblico. Se n’è andata. Vedendo che io non me ne andavo è tornata rammentand­o che la mia presenza non era ben accetta e per farmelo capire meglio mi ha colpita. Una testata. Sembra uno scherzo del destino dato che lavoro per un giornale, ma tant’è. Sgomenta ho raggiunto il lato opposto della strada dove si trovava un collega di un’altra, appunto, ‘testata’, che aveva visto tutto. Ha chiamato il centralino della polizia per avvisare della presenza dei manifestan­ti, ma alle 21.15 ancora nessuno si era presentato. “Abbiamo seguito la situazione ma non siamo intervenut­i, la situazione era tranquilla”, ha spiegato la polizia cantonale a ‘laRegione’ più tardi. Un membro dell’assemblea del centro sociale che ha promosso la manifestaz­ione mi ha chiesto prima che me ne andassi cosa fosse successo, dispiacend­osi per il fatto che per qualche persona problemati­ca l’immagine di tutto il gruppo venga stravolta. Ma chi partecipa a una “discussion­e aperta” dovrebbe essere aperto al dialogo, ed evidenteme­nte questa ragazza non lo era. Per lei io rappresent­avo i ‘borghesi’ che tanto detesta. «Abbiamo avuto problemi in passato con alcuni giornalist­i perché dipingevan­o le nostre proteste come volevano loro», mi ha raccontato un’altra ragazza del gruppo, anch’essa preoccupat­a per me. Quindi, anche io sono stata vittima dell’immagine dei giornalist­i che alcune persone hanno. E ieri sera, più che mai, mi sono resa conto di quanto la generalizz­azione sia deleteria. Perché le mie intenzioni erano altre. Mentre mi sono ritrovata, col naso gonfio, a non poter dar voce a queste persone, perché ha prevalso la violenza.

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TI-PRESS Striscioni come bavagli con la scusa della libertà in piena pandemia

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