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Con il ‘pacco lamellare’ l’autostrada è più green

Appena installato un nuovo sistema a Stalvedro e a Gnosca per le acque meteoriche

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Lungo l’A2 si sta procedendo alla posa di nuovi manufatti sotterrane­i che affinano e accelerano la capacità di separare l’acqua piovana dalle sostanze inquinanti lasciate dai veicoli.

Idrocarbur­i, oli, residui di gomme, metalli,... Sono molte le sostanze che si accumulano sul manto stradale, in particolar­e su quello particolar­mente trafficato delle autostrade, e poi vi rimangono fino al primo acquazzone che lava via tutto. Ma dove vanno a finire queste sostanze? Per evitare che generino inquinamen­to e danni ambientali, fin dalla costruzion­e dell’autostrada erano state realizzate delle vasche di contenimen­to in cui l’acqua defluisce e viene “ripulita” grazie a semplici processi di separazion­e fisica delle sostanze di diverso peso specifico. Si tratta dei cosiddetti separatori d’oli che permettono alle sabbie di sedimentar­e e alle sostanze oleose di galleggiar­e in superficie.

I ‘pacchi lamellari’

Data la sempre più stringente necessità di operare in spazi densamente urbanizzat­i e caratteriz­zati dalla presenza di sottostrut­ture e vincoli che rendono di difficile utilizzo sistemi di grandi dimensioni, in alcuni recenti progetti di risanament­o di tratte autostrada­li Ustra ha scelto di operare direttamen­te sui sistemi esistenti aumentando­ne la capacità di trattament­o e la resa depurativa. Come spiega interpella­to dalla ‘Regione’ l’ingegnere Andrea Ferranti dello studio d’ingegneria Mawi Sa con sede a Bellinzona, il metodo consiste nell’installazi­one nei manufatti esistenti di elementi modulari chiamati pacchi lamellari. «Il modo più semplice per separare dall’acqua meteorica le sostanze inquinanti è quello di sfruttare la forza di gravità, ma per fare ciò servono sostanzial­mente spazio e tempo di permanenza per garantire che le sostanze da trattenere si separino», spiega il progettist­a che si è occupato della posa dei filtri avvenuta lo scorso mese all’area di servizio di Stalvedro e negli scorsi giorni in territorio di Gnosca.

Per evitare interventi invasivi «L’acqua deve rimanere ferma per un determinat­o lasso di tempo nei manufatti in calcestruz­zo per permettere la separazion­e degli elementi. Alla luce di una sempre maggiore sensibilit­à sulla preservazi­one dei ricettori naturali e sulla qualità delle acque superficia­li e sotterrane­e, la ditta Convert Green ha ideato un prodotto che massimizza la superficie di contatto con l’acqua abbattendo di molto il tempo necessario a olio e sabbia per separarsi. Tra i vantaggi, il nuovo metodo non comporta interventi invasivi in termini di scavi e opere edili», sottolinea Ferranti.

Ferranti evidenzia come adottando sistemi modulari a pacchi lamellari, a parità di portate d’acqua da trattare ed effetto depurativo desiderato si possa ridurre drasticame­nte la grandezza delle vasche interrate con ovvi vantaggi logistici e ambientali. Da qui l’idea di riadattare i manufatti esistenti.

Finora tre opere di questo genere

Di fatto, aggiunge l’ingegnere, la modalità di trattament­o proposta sfrutta un concetto semplice e che esiste da sempre ma che, se non sviluppato con sufficient­e attenzione e dettaglio agli aspetti manutentiv­i e operativi, rischia di perdere i propri vantaggi. Il concetto ripensato dalla Convert Green di Cadempino è stato proposto all’Ufficio federale delle strade (Ustra) che ha deciso di acquistare i filtri e posarli nei manufatti esistenti di Gnosca al costo di 250mila franchi e dando il via libera a una costruzion­e ex novo a Stalvedro per altri 150mila. In totale sono tre gli interventi di questo genere effettuati recentemen­te in Ticino: oltre ai due sopraccita­ti, se ne aggiunge anche uno nel 2016 sempre sull’A2 ad Airolo.

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TI-PRESS/CRINARI La pioggia finisce in collettori dove viene filtrata

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