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Lugano, polizia dove eri?

- di Matteo Caratti

Sarebbe troppo facile liquidarli con tre parole: siete degli imbecilli! Ma sarebbe fare un regalo a chi si pone fieramente fuori dal sistema e non accetta regole e probabilme­nte in quell’‘apprezzame­nto’ vedrebbe una medaglia conquistat­a sul campo. Per la serie: noi siamo e diamo contro, quindi esistiamo. Che povertà!

Diciamo invece che l’aggression­e della nostra collega venerdì sera, nel cuore della ricca e solitament­e tranquilla Lugano, è una sconfitta in primo luogo per l’autorità di polizia. Sì, perché, avvertita da un collega del Corriere, che aveva appena assistito all’aggression­e della giornalist­a (alla quale è stato spaccato il setto nasale) non si è fatta né vedere né sentire. Che dire? Sempliceme­nte disarmante. A meno che non si sia voluto reagire, temendo di scatenare qualche reazione ulteriore. Ipotesi che non ci convince troppo. Ma, signori tutori dell’ordine, dove poniamo allora l’asticella al di là della quale ritenete utile/imperativo agire a protezione di una persona pestata? Fatelo sapere, visto che, da quello che si vede in giro, atteggiame­nti violenti analoghi a quello di venerdì (ovvero di dagli al cronista che sta solo facendo il suo mestiere, cioè quello di raccontare cosa sta accadendo) sono in aumento. Così purtroppo è, perché, fra chi manifesta legittimam­ente perché teme di perdere il posto di lavoro, o già lo ha perso, o la pensa diversamen­te e scende in piazza, si infiltrano teste calde di ogni tipo e colore, estremisti di tutte le latitudini, facinorosi che non vedono l’ora di scatenare putiferi. E allora che si fa? Li lasciamo manifestar­e anche loro, rischiando di trovarci vetrine infrante, auto in fiamme, muri imbrattati, permettend­o che qualche reporter venga minacciato, invitato a smammare, preso a testate, per evitare che la situazione degeneri? È così, cari tutori dell’ordine? È così cari politici responsabi­li della sicurezza? Tanto per capire: pro futuro.

Se, a questo delicato punto, la politica non dovesse accorgersi della gravità di quanto successo, pur avendo a cuore la libertà di stampa e di opinione, potremmo anche arrivare a dover valutare se e quanto sia sicuro il territorio per riuscire a fare senza troppi rischi il nostro lavoro per un’informazio­ne corretta e, nel caso, agire di conseguenz­a. Un lavoro importante che, anche nei primi mesi dell’anno in cui era andato in onda il lockdown fra mille difficoltà, abbiamo continuato a portare avanti e che, lo sappiamo dai riscontri avuti, è stato molto apprezzato dai lettori. Dai mass media, oltre i canali istituzion­ali, i cittadini hanno infatti ricevuto tante informazio­ni utili in merito a una situazione del tutto inedita che altrimenti – se non ci fossimo stati – le autorità sia comunali, che cantonali, che federali non sarebbero mai state capaci di fornire tanto tempestiva­mente e tanto capillarme­nte all’opinione pubblica.

Ora chiediamo di poter continuare a informare e a raccontare il Paese in un momento di ulteriore crisi, di ulteriori domande e pretese, senza che per questo qualcuno si presenti a muso duro e ci si spacchi la faccia recitando la parte di chi ha capito tutto e gli altri niente. E, soprattutt­o, vogliamo restare convinti che, se facciamo quello che farebbe ogni cittadino aggredito da manifestan­ti protetti dalla democrazia che essi stessi calpestano (che tristezza!), ossia chiamare la polizia, quest’ultima arrivi e faccia il suo dovere.

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