laRegione

La base della democrazia

- Di Cristina Zanini David

La discussion­e è la base della democrazia ed è innegabile che di dibattito, sulle strategie per affrontare il Covid, non ce n’è. Anche l’organo predispost­o alla discussion­e (il Gran Consiglio) nell’ultima sessione ha bocciato la proposta Mps di parlarne. Sembrano esserci sono solo schieramen­ti e tifoserie. Negazionis­ti vs Interventi­sti. Uno dei più recenti scambi pubblici in questo senso, è scaturito da un articolo della filosofa Francesca Rigotti pubblicato sul CdT qualche tempo fa e a cui ha risposto, tra gli altri, il giornalist­a Aldo Sofia sul quotidiano La Regione. Un articolo, il primo, che parlava di privazione di libertà, mansuetudi­ne e male minore. Ma di quale libertà parliamo? La libertà di cui “godevamo” prima era delimitata dai paletti che la società economica sceglieva per noi. Quanto lavorare, quanto guadagnare e quanto tempo di vita poter spendere in amore e famiglia. Oggi è invece la comunità scientific­a e medica che ci fornisce i limiti entro i quali muoverci in modo che la nostra libertà non limiti agli altri (o a noi stessi (...)

(...) qualora ne avessimo bisogno) il diritto inequivoca­bile dell’accesso alle cure. Sanità che giustament­e non è un valore, ma un diritto fondamenta­le e per tanto basilare per la sopravvive­nza umana.

E se allora discutere di “libertà precarie” in tempo di Covid è un po’ sterile, su cosa dobbiamo spostare il dibattito affinché si riesca a mantenere viva la nostra fragile democrazia? Fragile, sì, perché la democrazia non si nutre di soli voti e campagna elettorale. Si nutre di dibattito e di ascolto reciproco. Cosa che ultimament­e sembra proprio mancare. Ne è sintomo il fatto che il critico articolo della professore­ssa Rigotti sia stato subito inserito nel calderone dei negazionis­ti.

Eppure ci sono molti altri spunti interessan­ti da cogliere. Come la necessità di mantenere un dibattito attivo e non accettare supini le metodologi­e imposte. Un minimo di senso critico può, e deve, rimanere. Perché si ha la sensazione che cantone e confederaz­ione si limitano a guardare ed emulare i vicini? Perché, vedendo l’insostenib­ilità psicologic­a, sociale ed economica di lockdown a intermitte­nza, sembra non essere stata vagliata una strategia alternativ­a, magari di tamponamen­ti a tappeto, per limitare la diffusione causata anche dagli asintomati­ci? Perché, durante l’estate di quiete, non si è pianificat­o il potenziame­nto del contact tracing per la seconda ondata, formando già il personale e pianifican­do tutti gli aspetti organizzat­ivi? Discutiamo­ne perché è oggettivo che questo sistema di gestire l’emergenza sanitaria non è sostenibil­e. Non sono nemmeno certa che la strategia di scaricare quasi completame­nte il peso della riuscita del contenimen­to della pandemia sulla “responsabi­lità individual­e” possa veramente definirsi una strategia (ma forse è l’abitudine, visto che la stessa metodologi­a è applicata anche per la lotta al cambiament­o climatico, ma questo è un altro discorso). Ad ogni modo, dico che non è sostenibil­e non perché lo dicono le fabbriche di tapparelle o l’associazio­ne dei ristorator­i. Non è sostenibil­e perché c’è chi teme per il proprio sostentame­nto. Perché le ripercussi­oni psicologic­he di un fallimento sono pesanti. Perché i bambini e gli adolescent­i non possono basare le proprie capacità sociali sul distanziam­ento fisico. Perché l’incertezza fa diventare matti, tutti.

E allora ecco che nell’articolo di Francesca Rigotti possiamo leggere anche questo con un po’ di apertura mentale. Parliamo e discutiamo non sull’effimera ricerca della libertà, ma sulla ricerca di soluzioni migliori per riuscire a fare in modo che “il male minore” risulti meno gravoso per tutte e tutti.

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