La base della democrazia
La discussione è la base della democrazia ed è innegabile che di dibattito, sulle strategie per affrontare il Covid, non ce n’è. Anche l’organo predisposto alla discussione (il Gran Consiglio) nell’ultima sessione ha bocciato la proposta Mps di parlarne. Sembrano esserci sono solo schieramenti e tifoserie. Negazionisti vs Interventisti. Uno dei più recenti scambi pubblici in questo senso, è scaturito da un articolo della filosofa Francesca Rigotti pubblicato sul CdT qualche tempo fa e a cui ha risposto, tra gli altri, il giornalista Aldo Sofia sul quotidiano La Regione. Un articolo, il primo, che parlava di privazione di libertà, mansuetudine e male minore. Ma di quale libertà parliamo? La libertà di cui “godevamo” prima era delimitata dai paletti che la società economica sceglieva per noi. Quanto lavorare, quanto guadagnare e quanto tempo di vita poter spendere in amore e famiglia. Oggi è invece la comunità scientifica e medica che ci fornisce i limiti entro i quali muoverci in modo che la nostra libertà non limiti agli altri (o a noi stessi (...)
(...) qualora ne avessimo bisogno) il diritto inequivocabile dell’accesso alle cure. Sanità che giustamente non è un valore, ma un diritto fondamentale e per tanto basilare per la sopravvivenza umana.
E se allora discutere di “libertà precarie” in tempo di Covid è un po’ sterile, su cosa dobbiamo spostare il dibattito affinché si riesca a mantenere viva la nostra fragile democrazia? Fragile, sì, perché la democrazia non si nutre di soli voti e campagna elettorale. Si nutre di dibattito e di ascolto reciproco. Cosa che ultimamente sembra proprio mancare. Ne è sintomo il fatto che il critico articolo della professoressa Rigotti sia stato subito inserito nel calderone dei negazionisti.
Eppure ci sono molti altri spunti interessanti da cogliere. Come la necessità di mantenere un dibattito attivo e non accettare supini le metodologie imposte. Un minimo di senso critico può, e deve, rimanere. Perché si ha la sensazione che cantone e confederazione si limitano a guardare ed emulare i vicini? Perché, vedendo l’insostenibilità psicologica, sociale ed economica di lockdown a intermittenza, sembra non essere stata vagliata una strategia alternativa, magari di tamponamenti a tappeto, per limitare la diffusione causata anche dagli asintomatici? Perché, durante l’estate di quiete, non si è pianificato il potenziamento del contact tracing per la seconda ondata, formando già il personale e pianificando tutti gli aspetti organizzativi? Discutiamone perché è oggettivo che questo sistema di gestire l’emergenza sanitaria non è sostenibile. Non sono nemmeno certa che la strategia di scaricare quasi completamente il peso della riuscita del contenimento della pandemia sulla “responsabilità individuale” possa veramente definirsi una strategia (ma forse è l’abitudine, visto che la stessa metodologia è applicata anche per la lotta al cambiamento climatico, ma questo è un altro discorso). Ad ogni modo, dico che non è sostenibile non perché lo dicono le fabbriche di tapparelle o l’associazione dei ristoratori. Non è sostenibile perché c’è chi teme per il proprio sostentamento. Perché le ripercussioni psicologiche di un fallimento sono pesanti. Perché i bambini e gli adolescenti non possono basare le proprie capacità sociali sul distanziamento fisico. Perché l’incertezza fa diventare matti, tutti.
E allora ecco che nell’articolo di Francesca Rigotti possiamo leggere anche questo con un po’ di apertura mentale. Parliamo e discutiamo non sull’effimera ricerca della libertà, ma sulla ricerca di soluzioni migliori per riuscire a fare in modo che “il male minore” risulti meno gravoso per tutte e tutti.