‘Aveva gli strumenti per condurre una vita onesta’
Carcere per un padre di famiglia dominicano
La Corte delle Assise criminali di Bellinzona presieduta dal giudice Amos Pagnamenta non ha fatto sconti al 39enne dominicano colpevole di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti. L’uomo dovrà scontare 3 anni e 6 mesi di prigione (da dedursi il carcere preventivo già scontato) e sarà espulso dalla Svizzera per sette anni. La Corte rinuncerà tuttavia a notificare la sentenza, rendendo così possibile – una volta scontata la pena – il soggiorno dell’imputato nello spazio Schengen.
La difesa rappresentata dall’avvocato Yasar Ravi si è dunque vista negare la richiesta di non decretare l’espulsione del suo assistito. In mattinata il legale, oltre a battersi per una cospicua riduzione della pena, aveva invocato il caso di rigore, secondo Ravi costituito dalla situazione personale dell’imputato. «L’espulsione comporterebbe la separazione dalla moglie e dai figli. Sarebbe una drastica conseguenza e una pesante ingerenza personale», aveva affermato l’avvocato durante la sua arringa preceduta dalle dichiarazioni dell’imputato: «So di avere sbagliato e intendo pagare. Ma qui in Ticino ci sono mia moglie, che ha problemi di salute, e i miei figli, che rimarrebbero orfani». La Corte non ha tuttavia ravvisato gli estremi per il caso di rigore, sostenendo che anche in questo caso l’espulsione è obbligatoria. «Ha delitto nonostante avesse gli strumenti per condurre una vita onesta in Svizzera – ha affermato Pagnamenta a proposito delle dichiarazioni dell’uomo secondo il quale avrebbe agito unicamente al fine di racimolare qualche soldo in più per il mantenimento dei figli e dei genitori malati residenti a Santo Domingo –. Ha spacciato cocaina per vivere al di sopra delle proprie possibilità. Era l’imprenditore di se stesso: comprava, preparava e vendeva». Quanto al futuro, il giudice ha sottolineato che il 39enne ha comunque famiglia in patria (Repubblica Dominicana) e dispone di una formazione specifica (in legge) che potrà permettergli di lavorare.
Atto d’accusa confermato interamente
In merito ai fatti, la Corte ha confermato interamente l’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico Nicola Respini (che aveva chiesto 3 anni e nove mesi di carcere). L’uomo è colpevole di avere venduto circa 100 grammi di cocaina (lui ne riconosceva solo 70). Altri 1’000 erano in procinto di essere alienati.
L’unico aspetto che ha permesso di mitigare la pena, ha spiegato Pagnamenta, è il fatto che il chilo di cocaina trovato nella macchina dell’uomo non fosse ancora stato venduto. Sempre in merito al grande quantitativo di droga rinvenuto nella vettura del 39enne (in carcere dallo scorso 4 giugno quando la polizia l’aveva sorpreso per caso mentre era appostata per sorvegliare un’altra persona sospettata di essere coinvolta nel traffico di droga), la Corte non ha considerato credibile quanto affermato dall’imputato, ovvero che egli pensasse di trasportare una dose ben minore rispetto a quanto trovato dagli agenti. Quantitativo che, sempre stando al 39enne, il fornitore gli aveva chiesto di recapitare alla persona sorvegliata dagli inquirenti. «Era perfettamente a conoscenza che non si trattavano di 80 grammi. Sapeva che nel sacchetto c’era un chilo. E gli indumenti dei figli nei quali era avvolta la sostanza confermano il suo diretto coinvolgimento».
La difesa valuta il ricorso
Il giudice Pagnamenta ha poi parlato delle bugie e delle contraddizioni in sede d’inchiesta, che «hanno minato la credibilità» dell’uomo. Menzogne, ha affermato durante la sua requisitoria il pp Respini, per cercare di «cavarsela a buon mercato e uscirne col minor danno possibile dopo due anni di vendite indisturbate. Con questo obiettivo è sempre andato avanti durante l’inchiesta, non assumendosi appieno le proprie responsabilità e ammettendo solo il minimo sindacale». La Corte non ha inoltre ravvisato alcuna scemata imputabilità «che si attribuisce a chi agisce per soddisfare un bisogno di consumo personale». La difesa valuterà ora se impugnare la sentenza e ricorrere al Tribunale di appello.