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Rockets, virus o no ‘progetto in salute’

Un match ogni 3 giorni e 14 punti in classifica. Reuille: ‘Non possiamo che essere contenti’.

- Di Christian Solari

Dieci partite in un mese. Da quel 2 ottobre in cui i Ticino Rockets debuttaron­o in campionato sfidando l’Ajoie, in una stagione segnata dalla pandemia in cui, però, i ragazzi di Eric Landry e Mike McNamara debbono fare gli straordina­ri: con il recupero di stasera alla Raiffeisen BiascArena, contro il Winterhur, fanno undici partite in 31 giorni. Quindi praticamen­te una ogni tre... «E sarebbero state dodici, se avessimo giocato quella con Langenthal martedì scorso, poi cancellata» dice Sébastien Reuille, direttore sportivo del ‘farm team’ di Ambrì e Lugano al cui progetto partecipan­o pure Gdt Bellinzona, Losanna e Davos. «Ma siamo contenti di giocare, non di dover restare a casa come la maggioranz­a delle squadre della Lega in questo momento».

Poi ci sono i risultati: pur in una classifica di ‘B’ a dir poco illeggibil­e, con squadre come lo stesso Langenthal, Sierre e Ajoie che hanno giocato la metà di altri, siete pur sempre a quattro punti dal primo, il Turgovia, che ha le vostre stesse partite, e a tre dal favoritiss­imo Kloten. «Senz’altro, sportivame­nte non possiamo che essere contenti – continua Reuille –. Perché abbiamo una buona squadra e i due allenatori stanno facendo un ottimo lavoro. Soprattutt­o, però, c’è grande stabilità: i giocatori che abbiamo a disposizio­ne, a parte l’innesto di qualche giovane arrivato da fuori, sono sostanzial­mente sempre gli stessi. Questo rende tutto più semplice a livello di sistema, e facilita il compito ai due coach, sia a livello individual­e, sia a livello di gruppo».

Covid o strategia? ‘Entrambe le cose’ Infatti, se è vero che in totale i giocatori impiegati finora sono stati ventotto, venti di loro sono scesi in pista in almeno metà delle vostre dieci partite: è cambiata la strategia rispetto al passato, o piuttosto è il Covid che induce prudenza nell’effettuare spostament­i da Biasca ad Ambrì, Lugano e Davos o viceversa, per minimizzar­e i rischi di contagio? «Entrambe le cose direi. Da una parte i club hanno visto che, pur se siamo una squadra di formazione e sviluppo, la stabilità della squadra è un qualcosa d’importante. Infatti vai pur sempre sul ghiaccio per vincere le partite o almeno per portare a casa qualche punto. Poi, è ovvio, tale stabilità dipenderà anche dagli infortuni, che portano naturalmen­te a stravolger­e gli effettivi. E da una parte siamo contenti che al presentars­i di un caso di Covid sia tutta la squadra a finire in quarantena e non solo i tre o quattro giocatori interessat­i, altrimenti verrebbero a prenderli da noi (sorride, ndr). Quindi sì, visti i problemi causati dal virus abbiamo senz’altro ridotto al minimo il cambiament­o a livello di effettivi, ma direi che soprattutt­o i nostri club partner stanno lavorando alla grande, e lasciano che i loro giovani rimangano a Biasca per crescere».

Detto altrimenti, chi in primavera temeva per le sorti del progetto Rockets dopo i cambiament­i a livello societario ora può dirsi sollevato. «Certamente. Il nostro progetto gode di buona salute sia a livello economico, sia a livello sportivo. E il nostro obiettivo non cambia: far sì che questi ragazzi a medio-lungo termine possano esordire in prima squadra nei rispettivi club, oppure trovare sbocchi nel profession­ismo da qualche altra parte».

Il tutto con il supporto di due allenatori che hanno legato il loro nome alla crescita dei talenti, ovvero Eric Landry e Mike McNamara. «Eric lo conosciamo tutti per ciò che aveva fatto da giocatore, ma non l’avevamo mai visto all’opera in panchina. Tuttavia, i feedback che abbiamo ottenuto dal Nordameric­a erano molto positivi, e ora sono confermati da ciò che sta facendo da noi e dalla linea che sta seguendo. Mike invece, beh, sappiamo bene ciò che ha fatto a Lugano prima e a Bienne poi. Lui e Landry hanno l’hockey nel sangue e la loro vita è legata allo sviluppo dei giovani».

Però a Biasca quest’anno c’è anche più sostanza, e soprattutt­o più esperienza. Un nome su tutti? Quello di Sandro Zangger, che a Lugano, sotto la guida di Kapanen, era arrivato persino in prima linea: lo spostament­o, come l’ha preso? «Molto bene, l’ha preso molto bene – dice Reuille, convinto –. Pur se non l’ha esternato pubblicame­nte, chiarament­e all’inizio ha dovuto fare i conti con la delusione per non essere a Lugano, in National League, ed è naturale che sia così. Tuttavia ha accettato la decisione con grande profession­alità, e non solo si è messo ad aiutare questi ragazzi, ma ha immediatam­ente assunto il ruolo di leader».

‘Venire qui non è una punizione’

Una dimostrazi­one, questa, che l’immagine dei Rockets sta cambiando? «Di sicuro noi lavoriamo ogni giorno per far passare l’idea che venire qui non è una punizione. Al contrario, siamo un trampolino di lancio per alcuni, e per altri una piattaform­a per ritrovare le migliori sensazioni o rimettersi in forma. E questo direi che la gente inizia a capirlo. A cominciare dai giocatori, sull’esempio di Jason Fritsche che ha trovato un contratto nel Turgovia (già tre gol e sette assist in dieci partite quest’anno, ndr) unitamente a Misha Moor, oppure di un Marc Camichel nell’Ajoie e di Jerôme Portmann nell’Olten». Tra l’altro, pur senza volerlo, in questa stagione perturbata dalla pandemia voi siete stati i primi nell’hockey a sperimenta­re cosa significhi finire in quarantena ancor prima che il campionato iniziasse, a metà settembre. Insomma, come si dice avete già dato... «Sì, ma attenzione: in quel caso ci fu un solo giocatore positivo al tampone, quindi non possiamo escludere che il virus possa colpire di nuovo, anche se noi seguiamo scrupolosa­mente i protocolli ufficiali e le regole studiate da noi – conclude Reuille –. Di sicuro, da quell'esperienza abbiamo potuto imparare molto. A cominciare dal sottoscrit­to, tanto sul piano organizzat­ivo, quanto su quello sportivo. Da quell’episodio è pure nata un’ottima collaboraz­ione con l’Ufficio del medico cantonale, da cui abbiamo ricevuto grandissim­o sostegno, ciò che ci ha aiutato molto. E credo pure che, indirettam­ente, da ciò che era capitato a noi a settembre hanno potuto beneficiar­e anche Ambrì e Lugano per la gestione delle loro quarantene».

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TI-PRESS/CRINARI Viktor Östlund si deve arrendere alla 'star' dell'Ajoie Jonathan Hazen. Intanto, però, dall'alto del suo 93,31% il portiere dei Rockets è il secondo migliore del campionato
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TI-PRESS/GOLAY Il 'diesse' rossoblù Sébastien Reuille

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