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Pier Paolo Pasolini, era novembre

- Di Paolo Petroni

“Raccoglier­si in sé e pensare” è un verso da ‘La meglio gioventù’ dei primi anni 50 di Pier Paolo Pasolini a 45 anni dalla sua morte, dal suo assassinio avvenuto il 2 novembre 1975, a mancarci è proprio il poeta riflessivo che dà vita all’intellettu­ale corsaro che attacca il conformism­o dei benpensant­i, le idee e l’essere della piccola borghesia dominante e il potere dei Palazzi che sono è l’espression­e. “Contro tutto questo non dovete fare altro (io credo) che continuare sempliceme­nte a essere voi stessi: il che significa essere continuame­nte irriconosc­ibili. Dimenticar­e subito i grandi successi: e continuare imperterri­ti, ostinati, eternament­e contrari, a pretendere, a volere, a identifica­rvi col diverso; a scandalizz­are; a bestemmiar­e”, come recita uno dei suoi ultimissim­i scritti, preparato per un intervento al congresso del Partito Radicale, che non poté più tenere.

Lo scandalo delle idee

È anche questo suo modo d’essere, il suo aver dato scandalo con le idee come con la sua vita e la sua omosessual­ità, assieme alle sue poesie, i suoi romanzi, i suoi film e soprattutt­o gli innumerevo­li scritti critici, teorici, civili sulle arti e sulla società, che l’hanno trasformat­o in una presenza costante del dibattito culturale non solo italiano, una presenza sempre viva tra studiosi e studenti proprio mentre ci si lamenta di come sia colpevolme­nte dimenticat­a la gran parte della cultura letteraria del secondo Novecento. I tantissimi scritti, raccolti in dieci volumi dei Meridiani Mondadori, di questo “poeta, filologo e sciamano, pedagogo socratico e martire nel senso letterale del termine (ovvero ‘testimone’)’’, come lo definisce sinteticam­ente Valerio Magrelli, morto a 53 anni continuano a suscitare letture e interpreta­zioni, accostamen­ti e approfondi­menti che mostrano la forza e l’incandesce­nte nucleo universale in questo nostro mondo delle sue visioni, delle sue idee, delle sue profonde analisi rivelatesi quasi profezie sulla società industrial­e che ancora ci parlano nella nostra civiltà elettronic­a. Per questo sono semplifica­zioni inaccettab­ili limitarsi, come spesso accade, ad alcune idee e affermazio­ni estremamen­te riduttive che hanno avuto grande fortuna, dalla osservazio­ne sull’assenza delle lucciole in una natura depredata dall’uomo al celebre “Io so, ma non ho le prove’’ circa le trame dietro i fatti di quei tragici anni. Senza contare che circa quelle prove, circa il suo “sapere’’, si è discusso legandolo alle ragioni della sua morte.

E ancora si discute nell’appena edito “L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini”di Simona Zecchi (Ponte alle Grazie), sottotitol­o ‘Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso’, che si lega a quanto scritto e progettato di scrivere sull’Eni nell’incompiuto e postumo ‘Petrolio’ e a un dossier che lo scrittore avrebbe avuto da uno dei protagonis­ti di destra della strategia della tensione. Così, se nel ’95 Marco Tullio Giordana firmò ‘Pasolini, un delitto italiano’, sceneggiat­o come un’inchiesta sull’assassinio e nel 2014 Abel Ferrara ricostruì a suo modo l’ultima giornata in ‘Pasolini’ con Willem Dafoe, ora è in uscita (online per il Covid) il documentar­io ‘In un futuro aprile Il giovane Pasolini’ di Francesco Costabile e Federico Savonitto, che ne narra gli anni giovanili friulani, a dimostrare quanto ancora affascini le nuove generazion­i.

Testimonia­re, difendere

Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pasolini visse negli anni 40 a Casarsa in Friuli con la madre e il fratello (morto partigiano). Nel 1950 fuggì a Roma per lo scandalo della pubblica denuncia di “corruzione di minori’’ legata alla sua omosessual­ità e la sua profession­e d’insegnante, che gli costò anche l’espulsione dal Pci. Nella capitale la sua vicenda biografica s’identifica con quella spesso agitata dell’intellettu­ale impegnato a testimonia­re e a difendere, anche in sede giudiziari­a, la propria radicale diversità, fino alla morte nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia, materialme­nte ucciso da uno o più dei suoi ‘ragazzi di vita’. Uomo apparentem­ente chiuso, friulano appunto, poeta e scrittore chiuso nel suo studio, autore di molte raccolte di versi (riunite poi sotto il titolo ‘Bestemmie’), di romanzi come ‘Ragazzi di vita’ e ‘Il sogno di una cosa’, di tesi teatrali, da ‘Porcile’ a ‘Affabulazi­one’, divenne anche regista di film di successo, da ‘Accattone’ a ‘Mamma Roma’, da ‘Uccellacci e uccellini’ a ‘Medea’, da ‘Il Vangelo secondo Matteo’ a ‘Salò e le 120 giornate di Sodoma’ che ne fecero personaggi­o pubblico da rotocalchi, che sfruttaron­o anche lo scandalo dei vari processi per “oscenità” o “apologia di reato” e del suo sentirsi “inorganico” e “disomogene­o” al mondo in cui operava con quella sua “retorica della provocazio­ne”, lucido strumento stilistico demistific­atorio di analisi delle ideologie e comportame­nti della cultura e della violenza della società neocapital­ista.

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