Piccoli esercizi bellinzonesi
Ma allora è vero, finalmente. Non ci saranno più gli spari domenicali allo stand di tiro ai Saleggi in Bellinzona. Adesso si sa anche il perché dello spostamento, la cui decisione risale a quaranta anni fa con voto del Consiglio comunale. Ci voleva un motivo e ci voleva la necessità, ed eccoli tutti e due pronti serviti sul vassoio offerti all’Ente ospedaliero cantonale. Si costruirà il nuovo ospedale proprio lì, dove sta lo stand di tiro, invadendo inoltre la zona un po’ più giù, dove i militari fanno le loro esercitazioni tra boschetti, collinette, tane di volpi, senza sparare però.
In quell’area i cittadini vi portano a scorrazzare i cani e vanno a passeggiare nel verde, il contadino vi porta le mucche, ed è curioso trovare oggi le mucche in città, è pur sempre una visione strana.
Intanto però sparisce una bella fetta di verde, indicata nel vecchio Piano regolatore come zona di attrezzature pubbliche (non edifici pubblici per la precisione). La città di Bellinzona, allargata sulla carta, dovrà fare a meno di quel (...)
(...) verde che non è poca cosa, pare. Invece niente paura, il verde viene ricuperato. Ci ha pensato la politica, Confederazione Cantone Comune, segnalando vincente il progetto sul sedime “officine”. Il quale progetto è tutto verde che di più non si può. Verde sui tetti, sulle terrazze, giardini pensili e anche un po’ in terra dove non si forma troppa ombra. Sicuramente hanno calcolato la superficie di compenso per l’agricoltura persa ai “Saleggi” in modo che le mucche possano brucare il verde del sagrato della cattedrale.
Adesso un po’ di serietà, per favore, per ottenere risposta a una domanda: la città, inteso i suoi cittadini/abitanti, ha voglia di verde, quale verde e quanto verde? E vorrebbe le mucche passeggiare tra gli orti? A rispondere ci pensano i proprietari dell’area “officina”, ci pensano la città e il Cantone, che quel verde offerto dal progetto segnalato è quello adatto. Si può interpretarlo e accettarlo come compenso da un lato, dall’altro e dal punto di vista architettonico di compiacimento verso i committenti e non solo per il verde. Niente di male a dire il vero. E allora?
Allora vale la pena immaginare l’impatto che questi due progetti avranno sul territorio intero, oltre a tutto da proiettare nel tempo, che non sarà domani. Vale la pena cercare il significato culturale, sociale, economico, già considerando che l’impegno finanziario per la realizzazione dei due progetti toglierà possibilità per altri interventi magari, forse, più impellenti. E se si aggiungono le intenzioni sbandierate con orgoglio dall’autorità cittadina sull’insediamento del nuovo centro congressi, il centro di pronto intervento, l’istituto oncologico, l’istituto di biomedicina, il quartiere della nuova stazione di piazza Indipendenza e tutti nel centro, forse non resta che gettare i dadi! Per sapere dove si collocano tutte queste strutture, e come finanziarle, e contando sulle centinaia di appartamenti pronti per nuovi inquilini che le occuperanno. Ora a scendere nella realtà della città, oggi di quarantamila abitanti, i dubbi che il salto partito da diciassettemila abitanti possa riuscire al primo tentativo, nemmeno con l’asta, devono far aprire gli occhi su qualche priorità, realizzabile a tempo moderato. Scendere di qualche centimetro per superare l’asticella fa volare ugualmente, magari con meno sforzo. E con meno tentativi. Dall’alto si ha una visione d’insieme della città. La linea, il percorso che si può intraprendere è chiaramente leggibile. È blu e verde. Anche grigia. Non necessitano altri tentativi. Si faccia finalmente città. Facendola vivere, rendendo felici i cittadini/abitanti, perseguendo l’incontro e il rapporto umano. E rispondendo a una domanda: a sapere se nel piano programma c’è più posto per ricupero o costruzione a nuovo, e quale scelta tra scuola e ospedale.