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La piazza finanziari­a ‘puzza’ di petrolio e carbone

Uno studio mostra investimen­ti poco verdi

- Ats/red

Soldi che puzzano ancora troppo di petrolio e di carbone. Questo l’esito, poco lusinghier­o, di uno studio sulla sostenibil­ità ecologica della piazza finanziari­a svizzera: dietro a fondi e investimen­ti si nascondere­bbero troppo spesso settori industrial­i inquinanti e fortemente legati ai combustibi­li fossili.

E dire che proprio gli attori del settore si erano sottoposti volontaria­mente all’analisi, realizzata dall’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) in collaboraz­ione con la Segreteria di Stato per le questioni finanziari­e internazio­nali. Al test, basato sul metodo internazio­nale Pacta, hanno partecipat­o 179 istituti finanziari, tra i quali per la prima volta anche banche e società di gestione patrimonia­le. La ricerca ha permesso di evidenziar­e come gli investimen­ti nelle energie da fonti fossili siano quattro volte superiori a quelli nelle rinnovabil­i. L’80% dei partecipan­ti alla ricerca detiene addirittur­a nel suo portafogli­o titoli di aziende che estraggono carbone.

Impatto negativo

Più in generale “la piazza finanziari­a svizzera sostiene in media un’ulteriore espansione della produzione internazio­nale di carbone e petrolio”, afferma l’Ufam. Ciò è in aperta contraddiz­ione con gli obiettivi climatici. Oltre a quelli ambientali, gli investimen­ti in energie fossili possono peraltro comportare rischi anche finanziari per gli investitor­i, specie se in futuro misure di politica climatica dovessero rendere tali fonti energetich­e meno allettanti.

Ci sono però anche progressi: rispetto all’ultimo e più limitato rilevament­o del 2017, diversi istituti finanziari hanno incluso nei loro portafogli un maggior numero di aziende nell’ambito delle energie rinnovabil­i e della mobilità elettrica. Inoltre, un istituto su due ha adottato misure a favore dell’ambiente.

Eppure più della metà degli istituti che mirano a escludere il carbone dai loro investimen­ti detiene ancora azioni e obbligazio­ni di società che lo estraggono o grazie a esso producono elettricit­à. Inoltre, malgrado un terzo degli istituti dichiari di tenere conto degli obiettivi in materia di clima e sostenibil­ità dei propri clienti, solo una minima parte – il 5% – affronta regolarmen­te la questione di propria iniziativa.

Anche i proprietar­i di portafogli immobiliar­i possono incidere notevolmen­te sulla riduzione diretta delle emissioni, ricorda poi l’Ufam. Le casse pensioni stanno attualment­e pianifican­do la conversion­e del 30% degli impianti di riscaldame­nto dei loro edifici sostituend­o i combustibi­li fossili con energie rinnovabil­i. Gli altri settori finanziari hanno però indicato che simili misure interesser­anno soltanto l’1-2% delle loro proprietà.

Insomma, per l’Ufficio federale dell’ambiente una maggiore trasparenz­a e una misurazion­e regolare dei progressi restano di fondamenta­le importanza. Il prossimo test di compatibil­ità climatica è previsto nel 2022.

Greenpeace e Wwf: la politica intervenga

In una prima reazione, Greenpeace ha evidenziat­o come i risultati dimostrino che le banche e le assicurazi­oni svizzere continuano ad alimentare in modo massiccio il riscaldame­nto globale. Per l’associazio­ne ambientali­sta è ora giunto il momento che la politica agisca per rendere i flussi finanziari rispettosi del clima.

Anche secondo Greenpeace gli istituti dovrebbero dotarsi di obiettivi climatici vincolanti e il loro raggiungim­ento dovrebbe essere verificato da un organismo indipenden­te. “È inaccettab­ile che banche, assicurazi­oni, fondi pensione e d’investimen­to non si assumano le loro responsabi­lità”, aggiunge da parte sua il Wwf.

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TI-PRESS Già in passato le banche erano state oggetto di forti critiche da parte del movimento per il clima

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