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Limo della Silo Melezza, due decreti d’accusa

Gli interessat­i hanno già inoltrato opposizion­e

- Di Serse Forni e David Leoni

Limo derivante dai residui della lavorazion­e d’inerti utilizzato per una scarpata a Camedo o sparso su campi coltivati ad Ascona? Non si poteva fare... A dirlo è il procurator­e pubblico Zaccaria Akbas, che nei giorni scorsi ha emesso due decreti d’accusa. Il primo per il direttore del Silo Melezza di Losone, il secondo per il titolare della ditta che effettuava il trasporto del limo verso l’azienda agricola sul delta della Maggia. Entrambi hanno già inoltrato le loro opposizion­i e il caso quindi finirà in aula.

A Camedo una scarpata abusiva

Per quanto riguarda i vertici della Silo Melezza, due i capi d’accusa. Il primo riguarda il deposito di 506 tonnellate di limo, avvenuto nel 2019, sulla scarpata situata sotto l’impianto della filiale centovalli­na della ditta. “Scarpata che – indica Akbas – finisce nell’acqua del fiume, cagionando in tal modo un concreto pericolo d’inquinamen­to della Melezza”. Si tratterebb­e perciò di un’infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque. Un’interpreta­zione che viene contestata. La scarpata in questione termina infatti in un terrapieno pianeggian­te che dista una trentina di metri dal fiume e dalle analisi effettuate sullo stesso terrapieno non risulta presenza di limo. Quindi il materiale non può essere finito in acqua. Di più: il limo della scarpata abusiva nel frattempo è stato rimosso e sostituito con materiale solido e idoneo.

Usato senza permessi come fertilizza­nte

Il secondo capo d’accusa è l’infrazione contro la legge federale sulla protezione dell’ambiente, per negligenza, e accomuna entrambi gli imputati. Tra il 2013 e il 2018 la Silo Melezza, tramite una ditta locale, ha disposto il trasporto di 13’600 metri cubi di materiale limoso, che è poi stato sparso sui terreni di un’azienda agricola asconese. Per il Ministero pubblico è stato messo in circolazio­ne “limo di cui non è dato conoscere – né è possibile ricostruir­e – la composizio­ne esatta, ma che era in ogni caso privo della necessaria omologazio­ne federale riguardant­e i concimi e che avrebbe dovuto essere smaltito tramite una discarica di tipo B”.

Ma anche in questo caso gli accusati si oppongono alla condanna. Infatti, come scrive lo stesso procurator­e pubblico, non è possibile ricostruir­e la composizio­ne esatta del materiale limoso. Tuttavia, da un’analisi effettuata sui campi agricoli, risulta che la composizio­ne è ovunque la medesima, sia dove il limo è stato sparso, sia dove non lo è stato. In altre parole, le quantità di cromo e nichel sono le stesse e coincidono in tutto e per tutto con quelle che si possono registrare in altre colture della regione.

Per farla breve, nei due casi (nelle Centovalli e ad Ascona) è stato depositato abusivamen­te del materiale, ma – stando ai difensori degli accusati – senza causare inquinamen­to dell’acqua o del suolo.

In conclusion­e, un accenno alle condanne (per altro contestate), contenute nel decreto d’accusa. Per il direttore della Silo Melezza una pena pecuniaria di 20 aliquote giornalier­e da 180 franchi (per un totale di 3’600), sospesa condiziona­lmente per un periodo di prova di 2 anni, e una multa di duemila franchi; per il titolare della ditta di trasporti una pena pecuniaria di 10 aliquote giornalier­e da 800 franchi l’una, per un totale di 8mila franchi, pure sospesa per due anni e una multa di mille franchi.

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ARCHIVIO TI-PRESS Il laghetto di Palagnedra

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