laRegione

Caso Consonni, si medita una causa civile

Confermata l’assoluzion­e, non ci si arrende

- Di Daniela Carugati

‘Dura lex, sed lex’. Sarà pure un motto latino, ma per gli operai della Consonni Contract ha tutto il peso dell’attualità. Anche a loro è toccato piegarsi alla durezza della legge e accettare (loro malgrado) che l’imprendito­re canturino Marco Consonni, finito in aula nell’ottobre del 2019, con l’accusa di usura nei loro confronti, sia stato assolto, in due gradi di giudizio e oggi in via definitiva, assieme agli altri sei protagonis­ti della vicenda. Ai loro occhi sentono di non avere avuto giustizia. Per tentare di riceverne almeno una parte non resta, ora, che presentars­i in Pretura, intentando una causa civile per risarcimen­to. «La porta resta aperta – conferma a ‘laRegione’ il sindacalis­ta dell’Ocst Paolo Locatelli –. Vedremo. Il rischio, pure qui, che prima di arrivare in fondo alla procedura l’azienda fallisca, e si rimanga ancora con un pungo di mosche in mano, non è peregrino». Società che, in veste formale – risulta sempre iscritta a Registro di commercio –, è ancora attiva nonostante, ci fa notare Locatelli, le pendenze con i suoi creditori.

‘Caso esemplare di malaediliz­ia’

L’amarezza, non lo si nasconde, è tanta. Anche perché per portare alla luce le vessazioni subìte gli operai ci hanno messo la faccia. È solo grazie alle loro testimonia­nze – a cominciare dal capocantie­re, pure lui a processo, che nel 2016 ha fatto scoppiare il caso segnalando­lo all’Ocst – se si è squarciato il velo sulla ‘prassi’ in uso nell’impresa. Abitudini, come quella di taglieggia­re le buste paga, che hanno portato a denunciare da parte del sindacato quello che è stato definito il più grave caso di malaediliz­ia mai conosciuto in Ticino. Dopo due sentenze di assoluzion­e, pronunciat­e prima dalla Corte delle Assise criminali, poi dalla Corte d’appello e revisione penale – davanti alla quale sono approdati tre ricorsi promossi dagli stessi lavoratori e dalla procuratri­ce pubblica Chiara Borelli –, all’Ocst non si è cambiata idea. «Lo confermo – ci dice senza tentenname­nti Locatelli –. Si è trattato davvero di un caso esemplare, forte di dati e documenti puntuali. Il punto è che non si è entrati nel merito. E questo, idealmente, dal punto di vista della giustizia è un peccato».

Tutto è da far risalire a una sorta di cavillo tecnico che sul piano giuridico ha impedito di procedere nei confronti degli imputati. Decretato nell’ottobre del 2017 l’abbandono, per i quattro accusati principali, dei reati di estorsione aggravata, coazione e inganno aggravato, alla luce di una decisione del Tribunale federale non era possibile processare l’imprendito­re (e con lui gli altri protagonis­ti) per usura. In effetti, per il principio ‘ne bis in idem’, non si può giudicare una persona due volte per lo stesso fatto.

Quelle promesse da marinaio agli operai

Per il sindacalis­ta come per gli ex dipendenti della ditta con sede in piazza Boffalora a Chiasso e parte di un gruppo leader negli arredi a cinque stelle, in ogni caso il conto non è chiuso. «Ci sono almeno due cose interessan­ti da ritenere – ci fa notare Locateli –. Innanzitut­to, durante il primo processo alle Criminali gli avvocati difensori dell’imprendito­re, ma lo stesso Marco Consonni, hanno più volte ribadito che, a prescinder­e dal dibattimen­to, avrebbero tacitato i lavoratori; insomma, che c’era la disponibil­ità. Promessa poi non mantenuta. Una volta ‘incassate’ le due assoluzion­i, Consonni non si è fatto più sentire. Potendo risparmiar­e...». Anzi, ha avanzato lui stesso una richiesta di indennizzo di circa 400mila franchi per danno economico e ingiusta carcerazio­ne. Richiesta respinta in prima istanza dalla Corte presieduta dal giudice Mauro Ermani.

E il teorema che non si trattasse di usura

«C’è poi un’altra stravaganz­a – attira l’attenzione il sindacalis­ta Ocst –. Gli stessi difensori si sono resi conto che dal punto di vista pratico la posizione del loro assistito era indifendib­ile. Il principale teorema poggiava, in effetti, sul fatto che non sussisteva reato di usura per mestiere perché questi lavoratori in Italia avrebbero guadagnato molto meno, ancorché mancasse una componente del salario». Più volte in aula era riecheggia­to, infatti, che quella degli operai era stata una loro libera scelta.

«Oggi oltre alla frustrazio­ne dei lavoratori che hanno lottato per avere un loro buon diritto, c’è, almeno da parte mia – ammette Locatelli –, la rabbia che per un tecnicismo procedural­e questo processo non sia stato portato a termine, entrando nel merito». Il che avrebbe permesso di creare un precedente giuridico: «Avrebbe potuto anche fare scuola. Non me la sento però di dire che sia stato un errore – annota il sindacalis­ta –. Il verdetto dell’Alta Corte di Losanna, che fa testo, è posteriore al decreto». A questo punto non resta che farsene una ragione.

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TI-PRESS Gli operai sono frustrati

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