laRegione

Piani di protezione rispettati in Ticino

Covid, ad Arcisate incolpati anche i frontalier­i. Modenini (Aiti): ‘Finora nessun focolaio’.

- Di Fabio Barenco

Nelle imprese ticinesi non sono stati registrati focolai, ma ‘solo’ diverse quarantene. «Nelle circa 220 aziende che fanno riferiment­o a noi, i piani di protezione vengono rispettati. Anche perché, in caso contrario, l’ispettorat­o lo avrebbe segnalato», afferma a ‘laRegione’ Stefano Modenini. Il direttore dell’Associazio­ne industrie ticinesi (Aiti) getta dunque acqua sul fuoco in merito alla polemica emersa in Italia, sul fatto che sarebbero i lavoratori frontalier­i a contribuir­e alla diffusione del coronaviru­s nel Varesotto, visto che in Ticino le misure di protezione nelle aziende sarebbero blande o non rispettate. Nella provincia di Varese il coronaviru­s sta mettendo in seria difficoltà la popolazion­e e il sistema sanitario. In particolar­e nel comune di Arcisate dove, stando all’agenzia di stampa Ansa, un decimo dei 10mila abitanti è in quarantena. Ma “qual è la causa dell’invasività della pandemia ad Arcisate?”, si chiedeva l’altroieri il ‘Corriere della Sera’. “Un parere diffuso tira in ballo la vicina Svizzera (l’area di Mendrisio)”, si legge in un articolo online. La testata italiana si riferisce ai molti frontalier­i che ogni giorno varcano il confine per recarsi sul posto di lavoro e poi tornano a casa alla sera. “Vero che al momento non risultano picchi di contagi nei lavoratori di trasferta in Canton Ticino – precisa l’articolo –; ma è pur vero che più testimonia­nze raccontano di un approccio elvetico blando per lunghi periodi, di superficia­li misure di sicurezza adottate nelle aziende, di protocolli non rispettati, insomma di una situazione che ha ‘creato’ portatori di Covid”.

«Da almeno sei mesi gli ispettori del lavoro e quelli della Suva verificano l’attuazione delle misure di protezione da parte delle aziende», spiega Modenini. «E finora non sono state segnalate disfunzion­i gravi». Tuttavia, «a volte si verificano manchevole­zze, come plexiglas non installati correttame­nte o distanze non rispettate». In questi casi l’ispettore segnala i problemi riscontrat­i all’azienda «che deve immediatam­ente correggere gli errori». Il direttore di Aiti non esclude che «su circa 220mila posti di lavoro in Ticino vi sia qualcuno che non rispetti le regole», ma finora «non ci sono stati segnalati focolai nelle aziende». Vi sono però «diversi casi di quarantene». Quarantene che sono «perlopiù dovute a contatti familiari: un dipendente resta a casa perché un suo parente si è ammalato». A rimanere a casa sono quindi anche persone sane, che non hanno contratto il virus. E per Modenini ciò indica che «sul posto di lavoro si rispettano le regole».

Il rispetto delle regole ‘è nell’interesse delle aziende’

«Le indicazion­e date alle aziende (e poi trasmesse ai dipendenti) sono chiare», prosegue il direttore di Aiti: le misure di protezione e un comportame­nto responsabi­le «devono essere messi in atto non solo durante l’orario di lavoro, ma anche al di fuori di esso e durante le pause». Pause che sono spesso indicate come situazioni a rischio, visto che il caffè si beve senza mascherina e le distanze non sono sempre garantite. In questi casi l’azienda deve garantire che nel locale preposto vi sia sufficient­e spazio oppure assicurare che «i collaborat­ori non facciano la pausa tutti assieme, ma a orari scaglionat­i». Ovviamente, si deve anche fare affidament­o sull’ormai nota responsabi­lità individual­e. «Non essendo uno Stato di polizia, non sappiamo sempre se una persona rispetti o meno le misure di protezione, in particolar­e al di fuori dall’orario di lavoro. È però nell’interesse delle aziende che i loro collaborat­ori lavorino in maniera responsabi­le, perché sennò verrebbe a mancare il personale» che è essenziale per far funzionare un’azienda.

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TI-PRESS Il direttore dell’Associazio­ne industrie ticinesi

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