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‘Ovvietà’ o solitaria fuga in avanti?

Iniziativa al voto il 29. La posta in gioco spiegata in una serie di domande e risposte.

- Di Stefano Guerra

Di cosa parliamo?

Di contaminaz­ione dell’acqua potabile e dell’aria e di bambini avvelenati dal piombo nelle vicinanze di una miniera in Perù; di lavoro minorile nelle piantagion­i di cacao in Burkina Faso; di contadini avvelenati da pesticidi nei campi di cotone in India; di donne e bambini sfruttati nelle fabbriche tessili in Asia. È per evitare casi come questi (in alcuni sono coinvolte multinazio­nali con sede in Svizzera), e per far sì che i responsabi­li non restino impuniti, che una vasta alleanza di organizzaz­ioni della società civile ha lanciato nel 2015 l’iniziativa popolare ‘Per imprese responsabi­li - A tutela dell’essere umano e dell’ambiente’.

Cosa chiede l’iniziativa?

Che le società con sede in Svizzera siano tenute a verificare se le attività delle loro filiali, dei loro fornitori e dei loro partner commercial­i all’estero rispettano i diritti umani riconosciu­ti a livello internazio­nale e le norme ambientali. La società madre deve inoltre adottare misure appropriat­e per evitare e porre fine alle violazioni. Deve infine rendere conto periodicam­ente di quanto fatto. Tutto questo rientra nell’obbligo di dovuta diligenza. L’iniziativa non si ferma qui. Prevede pure un meccanismo di controllo di tale obbligo. In caso di violazioni dei diritti umani e delle norme ambientali, le imprese con sede nella Confederaz­ione potranno infatti essere chiamate a rispondere davanti a un tribunale svizzero e secondo il diritto svizzero non solo dei danni da loro stesse cagionati, ma anche di quelli causati dalle aziende che controllan­o all’estero (filiali e fornitori economicam­ente dipendenti). Saranno però liberate dalla responsabi­lità se provano di aver ottemperat­o agli obblighi di diligenza, ossia di aver preso tutte le misure del caso per impedire i danni.

Cosa cambierebb­e?

Attualment­e, le imprese con sede in Svizzera sono responsabi­li unicamente per i danni che loro stesse provocano all’estero, di regola secondo il diritto del Paese nel quale questi si verificano (in realtà ricorsi e reclami davanti a tribunali elvetici sono possibili anche oggi, ma gli ostacoli sono numerosi e i casi rari). Con l’iniziativa, un domani le imprese svizzere potrebbero essere citate più facilmente in giudizio in Svizzera anche per risarcire i danni causati dalle aziende controllat­e all’estero. L’altro cambiament­o riguarda l’obbligo di diligenza. Al momento in Svizzera non esistono disposizio­ni vincolanti in quest’ambito. Negli ultimi anni non poche imprese attive all’estero hanno fatto della ‘due diligence’ un aspetto più o meno importante del loro modello di business. Tutto è lasciato però alla buona volontà delle aziende. Se il 29 prevarrà il ‘sì’, la dovuta diligenza diventerà invece un obbligo sancito nella Costituzio­ne federale.

E con il controprog­etto, cosa cambierebb­e?

Se l’iniziativa viene respinta, entra in vigore il controprog­etto indiretto del Consiglio federale e del Parlamento. Anche questo introdurre­bbe disposizio­ni vincolanti. Le grandi imprese sarebbero tenute a rendere conto, in rapporti pubblicati a scadenze regolari, dei rischi delle loro attività all’estero e di cosa fanno per affrontarl­i. A ciò si aggiungere­bbe un obbligo di diligenza in due settori: lavoro minorile e minerali provenient­i da zone di conflitto. Chi viola tali obblighi verrebbe punito con una multa fino a 100mila franchi. Il controprog­etto non prevede alcuna estensione delle norme di responsabi­lità (per questo i promotori dell’iniziativa parlano di ‘controprog­etto alibi’). Le filiali e i fornitori economicam­ente dipendenti continuere­bbero dunque a essere responsabi­li, di norma in loco e secondo il diritto del Paese in cui i fatti si sono verificati, dei danni che cagionano.

La Svizzera farebbe da apripista?

Le perizie di parte giungono a conclusion­i opposte. I fautori dell’iniziativa sostengono che, con il loro testo, la Svizzera non avrebbe regole sulla responsabi­lità più severe di paesi come Francia, Olanda o Gran Bretagna. Gli oppositori affermano invece che l’estensione della norma sulla responsabi­lità alle imprese controllat­e all’estero rappresent­erebbe un unicum a livello internazio­nale. Quel che è certo è che su quest’aspetto l’iniziativa si spinge piuttosto lontano: la Svizzera, in caso di ‘sì’ il 29, finirebbe per ora nel plotone di testa. D’altro canto, con il controprog­etto, non farebbe altro che superare di poco (con obblighi di dovuta diligenza circoscrit­ti a due settori) il minimo comun denominato­re sul piano europeo (l’obbligo di rendiconta­zione, peraltro dimostrato­si inefficace sin qui). La Svizzera rischiereb­be così di ritrovarsi prima o poi a dover inseguire l’Ue e altri Paesi, che pigiano sull’accelerato­re in materia di ‘due diligence’ e responsabi­lità civile delle imprese.

Chi sostiene l’iniziativa?

Centotrent­a fra organizzaz­ioni non governativ­e, sindacati, chiese e altre associazio­ni. Possono contare su una rete di sostegno capillare, fatta di centinaia di gruppi locali e migliaia di volontari. La sinistra (Ps, Verdi e altri partiti minori) è compatta dietro l’iniziativa. Ma anche Verdi liberali, Pbd e Pev (evangelici) – riuniti in un comitato ‘borghese’ a favore del testo, assieme ad esponenti di Ppd, Plr e Udc – raccomanda­no di votare ‘sì’, così come centinaia di imprendito­ri (soprattutt­o in Romandia). Alcune sezioni del Ppd e l’Udc del Basso Vallese si sono schierate sullo stesso fronte, smarcandos­i dai rispettivi partiti nazionali.

Chi la combatte?

In prima linea Economiesu­isse. Anche l’Unione svizzera arti e mestieri e tutte le altre principali organizzaz­ioni del mondo economico (compresa l’Unione svizzera dei contadini) sono sulla stessa linea. Tra i partiti, l’iniziativa è avversata dall’Udc, dal Plr e dal Ppd. Consiglio federale e Parlamento raccomanda­no di votare ‘no’.

Su cosa ci si accapiglia?

Sulla responsabi­lità, “cuore” e al contempo “problema principale” (la consiglier­a federale Karin Keller-Sutter) dell’iniziativa. Gli oppositori condividon­o l’obiettivo di quest’ultima. Ritengono però che il “maggior rischio di azioni legali” in Svizzera, unitamente ai “costi esorbitant­i” che comportere­bbe un obbligo di diligenza esteso all’intera catena produttiva (“un mostro burocratic­o”), costituire­bbe uno svantaggio per le imprese elvetiche (“esposte a un sospetto generalizz­ato”) rispetto ai concorrent­i esteri, finendo con l’indebolire la piazza economica nazionale (perdita di competitiv­ità e posti di lavoro, ecc.). I detrattori dell’iniziativa paventano un’ondata di cause civili in Svizzera; e i tribunali farebbero comunque molta fatica a giudicare casi complessi all’estero, arrogandos­i oltretutto un diritto che non avrebbero (Keller-Sutter e altri deplorano un approccio di stampo neo-coloniale che a loro dire violerebbe la sovranità di altri Stati). I fautori del ‘no’ inoltre mettono in guardia contro il rischio che “la sola minaccia di una denuncia” (Keller-Sutter), oppure cause più o meno temerarie intentate da Ong o aziende concorrent­i, inducano le imprese svizzere ad abbandonar­e i Paesi in questione. L’“inversione dell’onere della prova”, infine: in futuro sarebbero le imprese svizzere stesse a dover provare di aver rispettato i propri obblighi di diligenza.

Cosa replicano i promotori dell’iniziativa?

L’iniziativa chiede “un’ovvietà” (l’ex ‘senatore’ Plr Dick Marty: “Ognuno deve assumersi le responsabi­lità delle proprie azioni, e chiunque causi danni deve rispondern­e”). Si vanno a colpire le poche pecore nere che dal mancato rispetto dei diritti umani e delle norme ambientali traggono un vantaggio concorrenz­iale. Ne beneficere­bbe per contro la stragrande maggioranz­a delle imprese, che oggi – comportand­osi in modo rispettoso – patiscono uno svantaggio competitiv­o. Il rischio di un’ondata di cause civili davanti ai tribunali svizzeri è giudicato inconsiste­nte: a detta di numerosi esperti, la Svizzera non diventerà un Eldorado per avvocati in cerca di soldi e pubblicità. Cause collettive non sono permesse, le ingenti spese processual­i vanno anticipate dalla parte lesa, i processi sarebbero lunghi e costosi e i risarcimen­ti alla fine poco sostanzios­i. Toccherà inoltre sempre alla parte accusatric­e produrre tutta una serie di prove. E persino nel caso in cui un tribunale stabilisse un legame causale tra il danno subito e le negligenze dell’impresa in questione, quest’ultima verrà liberata dalla responsabi­lità se potrà dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ridurre i rischi lungo l’intera catena di produzione. La nuova norma sulla responsabi­lità avrebbe in questo senso un effetto preventivo, piuttosto che punitivo.

Le piccole e medie imprese saranno colpite?

Sì, sostengono Karin Keller-Sutter e gli oppositori. Si basano sul testo dell’iniziativa – che non esclude esplicitam­ente le Pmi dal campo di applicazio­ne – per affermare che saranno “molte” le piccole e medie aziende colpite, anche in settori (agroalimen­tare, tessile, ecc.) a prima vista non ad alto rischio. Hanno ragione su un punto: l’iniziativa non riguarda soltanto le grandi multinazio­nali, come Glencore o Syngenta. Anche un certo numero di Pmi – quelle “attive in settori ad alto rischio come il commercio di diamanti o di oro”, puntualizz­ano i promotori – dovranno ottemperar­e all’obbligo di dovuta diligenza lungo l’intera catena di produzione all’estero. Quante saranno, dipenderà dalle eventuali decisioni del Parlamento (vedi sotto).

Qual è il pronostico?

Incerto. Da tempo i sondaggi danno il ‘sì’ stabilment­e attorno al 60%. Ma serve anche la maggioranz­a dei cantoni. E non è escluso che alla fine i votanti siano per il ‘sì’, mentre i cantoni per il ‘no’. È capitato solo nove volte nella storia della Confederaz­ione, l’ultima nel 2013 (politica familiare). Gli strateghi delle rispettive campagne hanno perciò nel mirino gli ‘swing states’, cantoni teoricamen­te in bilico tra ‘sì’ e ‘no’. Si va a caccia di ogni voto in particolar­e nella Svizzera centrale e orientale e in un paio di cantoni romandi (Vallese e Friburgo), dove l’elettorato del Ppd – ago della bilancia di questa votazione, assieme a quello più urbano dei Verdi liberali – ha un forte peso. Ma anche Zurigo e Berna, non ancora ‘attribuiti’, suscitano gli appetiti di entrambi gli schieramen­ti in quest’ultima fase di una campagna ad alto contenuto emotivo.

Cosa succede se vince il sì?

Il Parlamento dovrà elaborare una legge di attuazione. Poi il Consiglio federale ne definirà i dettagli in un’ordinanza. I promotori hanno già presentato una proposta piuttosto articolata per l’eventuale attuazione del nuovo articolo costituzio­nale. Si orienta al controprog­etto difeso a suo tempo dal Consiglio nazionale, battuto in Parlamento – al termine di un lungo tira e molla – da quello ‘soft’ voluto da Karin Keller-Sutter. In sostanza: il campo di applicazio­ne dell’iniziativa, per quanto riguarda l’obbligo di dovuta diligenza, verrebbe ristretto a circa 3’500 ‘grandi’ imprese al massimo; a queste si sommerebbe­ro le Pmi attive in settori ad alto rischio (alcune centinaia, stimano i promotori). Ad ogni modo tocca al Parlamento – non ai promotori – interpreta­re il testo dell’iniziativa.

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KEYSTONE Si manca il bersaglio, affermano i contrari
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KEYSTONE Balconi arancioni pro-iniziativa

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